четверг, 2 апреля 2009 г.

Parsifal, un’opera «cattiva»

Legato estremo dell’arte magica del suo creatore, il Parsifal è il dono di Wagner a tut-
ta l’arte moderna, un dono che germoglia nei giardini fin-de-siècle e che vive, perciò, di
profonde quanto insolubili contraddizioni.
A questo capolavoro, in particolare, riservò i suoi strali Friedrich Nietzsche («Il Par-
sifal è infatti un’opera della malvagità, della brama di vendetta, del segreto veneficio
contro i presupposti della vita, un’opera cattiva»), certo il più famoso fra i suoi detrat-
tori, diffusi peraltro a tutte le latitudini. Ne sia prova il manifesto che Marinetti pub-
blicò nel gennaio del 1914, prendendosela con lo strano binomio «tango e Parsifal». Il
documento, tra i più volgari e sconclusionati del cavaliere-vessillifero del Futurismo, ha
scatenato la vis polemica di Giovanni Guanti, che intitola il suo saggio W il «Parsifal»,
e si lancia in un esame ironico e corrosivo di alcuni aspetti della ricezione wagneriana
intorno al cosiddetto «giorno del Parsifal». Era il primo gennaio 1914 quando, «pre-
ceduto e affiancato da un imponente battage pubblicitario, che non ebbe nulla da in-
vidiare in invasività e pervasività a quelli odierni», per dirla con lo studioso, il capola-
voro, caduto il vincolo che lo legava a Bayreuth, iniziò il suo viaggio nei teatri di tutto
il mondo. In quel fatidico 1914 giunse anche a Venezia, in una stagione che, con note-
vole intelligenza impresariale, metteva in scena entrambi i capolavori finali dei due gi-
ganti dell’opera ottocentesca: Verdi e Wagner – Parsifal e Falstaff. Si legga la cronaca
di quell’importante stagione della Fenice, con risvolti ironici poco prevedibili, nella ru-
brica di Franco Rossi.
Che l’opera debba essere vista da molteplici angoli di visuale lo prova questo sesto
volume de «La Fenice prima dell’Opera» 2004-2005, e si legga in proposito la biblio-
grafia – dove Riccardo Pecci da ampiamente conto, senza reticenze sugli aspetti anche
più ambigui del pensiero wagneriano, del dibattito in corso tra gli studiosi di teatro mu-
sicale, ma anche di estetica e filosofia –, per poi tornare al saggio iniziale di Jürgen
Maehder, centrato su questioni sostanziali di forma e struttura. Lo studioso tedesco, tra
i maggiori specialisti wagneriani odierni, concentra la sua attenzione analitica in parti-
colare sull’inizio del lungo confronto tra il protagonista e la misteriosa Kundry, che cer-
ca di sedurlo per ottenere la salvezza. L’arte sottile di Wagner, in grado di rendere ‘par-
lante’ ogni sfumatura della musica, a cominciare dagli intervalli su cui s’articola il nome
«Parsifal», ne esce illuminata. Così come risalta la sua fantasia di inventore di nuove
forme, coordinate in una macrostruttura poggiata su assi di simmetria musicale e visi-

8
va – e lo provano ad abundantiam le conclusioni degli atti primo e terzo, dove l’esi-
genza scenica di rappresentare un rito a dir poco cruciale per le sorti del mondo occi-
dentale, è talmente precisa e ardita da stimolare atmosfere sonore in grado di esaltarla
ed esserne esaltate, laddove le voci sfumano verso il cielo della cupola del ‘tempio’, in-
visibili e senza sostanza sessuale.
Di particolare rilievo, in questo volume, è anche l’edizione del libretto, cui è posta a
fronte la traduzione italiana di Guido Manacorda (tuttora insuperata a nostro avviso),
corredato da una guida all’ascolto ancor più minuziosa dell’usuale, redatta da Riccar-
do Pecci. Non è certo facile districare i fili di una partitura tanto complessa, visto che,
come nota Pecci, «per noi spettatori odierni, con le nostre comprensibili ingenuità, cer-
care di capire Parsifal è un pochino come addentrarsi nel palazzo di Barbablù descrit-
to nelle Contes de ma mère l’Oye di Perrault: la storia ci ha consegnato un pesante maz-
zo di ‘chiavi’ interpretative di cui far uso, e con esse pian piano schiudiamo una serie
di usci […]. Alla fine del magnifico percorso, ci attende a sorpresa lo ‘stanzino in fon-
do al grande corridoio al pianterreno’ della fiaba».
Lasciamo al lettore il privilegio di aprire quell’uscio, con l’augurio di trovare ciò che
la sua curiosità gli avrà suggerito, magari confrontandosi con i pensieri sconnessi di
Marinetti il quale, dopo aver liquidato il tango argentino (perché «minaccia di impu-
tridire tutte le razze, gelatinizzandole»), ribadisce con forza che «Parsifal è peggio, poi-
ché inocula […] una incurabile nevrastenia musicale» – o seguendo l’intuizione di Jean-
Jacques Nattiez, che propone di considerare la Recherche di Marcel Proust come «una
moderna Queste du Saint Graal». Oppure il lettore può anche scoprire, come il nostro
Caronte informatico Roberto Campanella, il preannuncio di atmosfere decadenti, in-
sieme a tecniche cui guarderanno le successive avanguardie: siamo certi che ognuno po-
trà trovare, aprendo questo forziere, molto conforto per lo spirito, ma poche certezze.
La produzione di Parsifal oggi di scena nasce nel lutto di tutto il Teatro La Feni-
ce per la morte del suo direttore musicale, che si accingeva a dirigerla: questo volu-
me non può che essere idealmente dedicato, con affetto riconoscente, alla memoria
di Marcello Viotti.

Michele Girardi
MICHELE
GIRARDI

Jürgen Maehder
Strutture formali e intervallari nella partitura del
Parsifal

Un admirable document sur l’inutilité des formules: c’est Parsifal
CLAUDE DEBUSSY1
I
Il problema dei fattori costituenti la forma nel dramma musicale di Richard Wagner,
che Alfred Lorenz affrontò in modo radicale postulando il principio universale della co-
siddetta Barform, si ripropose con maggiore urgenza al tramonto delle considerazioni
dello stesso Lorenz. Lo schema della Barform tripartita, che lo studioso aveva tratto –
pur spogliandolo della sua funzione storica di forma-Lied del Meistersang – dalle spie-
gazioni teoriche di Hans Sachs nei Meistersinger era stato qui ridotto al principio
astratto della successione di ‘identico’ e ‘non-identico’ (A-A-B). Sebbene Lorenz avesse
tentato di evitare la prevedibile accusa di muoversi in una zona di confine fra dimo-
strazione scientifica e libero volo della fantasia, richiamandosi all’intuizione artistica,2
non tardò tuttavia una reazione all’uso generico di uno schema formale astratto.
In tre saggi fondamentali, Carl Dahlhaus3 e Rudolf Stephan4 hanno dimostrato come
l’applicazione delle categorie formali di Lorenz a sezioni musicali di ampiezza molto va-
riabile – da sedici fino a ben ottocentoventiquattro battute, in caso estremo – conduca
allo svuotamento del loro significato e all’irrigidimento dell’analisi musicale in vuoto
schematismo. Poiché Lorenz concepiva le sue costruzioni come completamento della di-
mensione leitmotivica del dramma musicale wagneriano, fissata nella letteratura critica
tradizionale di stretta osservanza bayreuthiana,5 esse furono criticate per aver postulato
una dicotomia tra «forma» e «contenuto», esprimendo quindi una posizione epistemo-
logicamente arretrata rispetto a gran parte delle estetiche del secolo diciannovesimo.

1 CLAUDE DEBUSSY, L’Influence de la musique allemande sur la musique française, «Mercure de France», gen-
naio 1903 («Un ammirevole documento sull’inutilità delle formule: Parsifal […] geniale smentita alla Tetralogia»).
2 Cfr. ALFRED LORENZ, Der musikalische Aufbau des Bühnenfestspiels «Der Ring des Nibelungen», Berlin,
Max Hesse, 1924, p. 123 e segg.
3 CARL DAHLHAUS, Wagners Begriff der dichterisch-musikalischen Periode, in Beiträge zur Geschichte der
Musikanschauung im 19. Jahrhundert, a cura di Walter Salmen, Regensburg, Bosse, 1965, pp. 179-194; ID.,
Formprinzipien in Wagners «Ring des Nibelungen», in Beiträge zur Geschichte der Oper, a cura di Heinz Bec-
ker, Regensburg, Bosse, 1969, pp. 95-129.
4 RUDOLF STEPHAN, Gibt es ein Geheimnis der Form bei Richard Wagner?, in Das Drama Richard Wagners
als musikalisches Kunstwerk, a cura di Carl Dahlhaus, Regenburg, Bosse, 1970, pp. 9-16 («Studien zur Musikge-
schichte des 19. Jahrhunderts, 23»).
5 HANS VON WOLZOGEN, Thematischer Leitfaden durch die Musik zu R. Wagners Festspiel «Der Ring des Ni-
belungen», Leipzig, F. Reinboth, 1876.
dementi génial à la Tétralogie.
[…]

10

Klingesor (Klingsor) von Ungerlant, nel Codice Manesse (219v), Heidelberg, Universitätsbibliotek. Sotto il nome
di Klingsor (l’incantatore nemico del Gral sia nel poema di Wolfram che nell’opera di Wagner) compare nel codi-
ce un poema di vari autori noto come Der Wartburgkrieg, databile agli anni 1240-1260. Klingsor è la figura cen-
trale in basso; in alto il langravio Hermann V di Turingia con la moglie. Da Codex Manesse. Die Miniaturen der
Grossen Heidelberger Liederhandschriften, a cura di Ingo F. Walker con la collaborazione di Gisela Siebert, Frank-
furt am Main, 1988).
JÜRGEN
MAEHDER

STRUTTURE
Sia nel caso dell’inventario dei Leitmotive diligentemente compilato da Hans von
Wolzogen, sia in quello della Barform, che Lorenz scopre ovunque nell’opera wagne-
riana, sorge il sospetto che si tratti di semplificazioni. A causa di questa interpretazio-
ne, ciò che nella musica wagneriana risulta irriducibile a mera categoria formale – i
processi di ininterrotta trasformazione, l’onnipresente confluire dei motivi l’uno nel-
l’altro, come pure il loro emergere l’uno dall’altro6 – fu ridotto a concetto («auf den
Begriff gebracht» nel senso hegeliano), ma senza riconoscergli, allo stesso tempo, la
fondamentale mediazione fra ‘identico’ e ‘non-identico’. Negli schemi riduzionistici
delle sue macroforme, così come nelle tavole dei Leitmotive, si possono individuare ten-
tativi di ricondurre le strutture specifiche del dramma wagneriano a quelle consuete del
pensiero musicale. Che in tal modo ci si proponesse una sorta di ‘salvataggio’ musico-
logico del compositore Wagner, per il tramite di concetti come quelli di costruzione for-
male e di lavoro motivico-tematico derivati dalle opere del classicismo viennese, appa-
re chiaro dall’uso negativo che ne fece Theodor Wiesengrund Adorno, nella sua celebre
monografia sul compositore.7 Il grande influsso esercitato dall’interpretazione di Lo-
renz, ancora all’indomani della seconda guerra mondiale, è testimoniato proprio dal-
l’impiego dei suoi schemi da parte dello stesso Adorno.8
L’importanza della ricerca musicologica sulla costruzione formale e sul rapporto
fra micro- e macroforme nel dramma musicale wagneriano difficilmente può essere
sopravvalutata. Una migliore comprensione delle opere della maturità di Wagner
sembra infatti in grado non soltanto di gettare nuova luce sulla storia della compo-
sizione nel tardo Ottocento, ma anche di ampliare le nostre conoscenze sulla tecnica
compositiva delle generazioni successive.9 Come dimostra un confronto con le opere
di Claude Debussy, Richard Strauss e Hans Pfitzner concepite sotto l’influsso diretto
del Musikdrama, l’assimilazione della tecnica leitmotivica, l’arricchimento dello spet-
tro cromatico per influsso dell’armonia (sia per la disposizione degli accordi sia per
la loro correlazione con le strutture drammaturgiche), così come la graduale appro-

6 Cfr. CARL DAHLHAUS, Wagners Kunst des Übergangs: Der Zwiegesang in «Tristan und Isolde», in GERHARD
SCHUHMACHER, Zur musikalischen Analyse, Darmstadt, Wissenschaftliche Buchgesellschaft, 1974, pp. 475-486;
KLAUS EBBEKE, Richard Wagners «Kunst des Übergangs». Zur zweiten Szene des zweiten Aktes von «Tristan und
Isolde», insbesondere zu den Takten 634-1116, in Neue Musik und Tradition. Festschrift Rudolf Stephan zum 65.
Geburtstag, a cura di Josef Kuckertz, Helga de la Motte-Haber, Christian Martin Schmidt, Wilhelm Seidel, Laa-
ber, Laaber, 1990, pp. 259-270.
7 THEODOR WIESENGRUND ADORNO, Versuch über Wagner, Berlino, Suhrkamp, 1952 (trad. it. in ID., Wagner-
Mahler. Due studi, Torino, Einaudi, 1966); cfr. in proposito: RICHARD KLEIN, Solidarität mit Metaphysik? Ein Ver-
such über die musikphilosophische Problematik der Wagner-Kritik Theodor W. Adornos, Würzburg, Königshau-
sen & Neumann, 1991; ID., Der Kampf mit dem Höllenfürst, oder: Die vielen Gesichter des «Versuch über
Wagner», in Mit den Ohren denken. Adornos Philosophie der Musik, a cura di Richard Klein, Claus-Steffen
Mahnkopf, Frankfurt, Suhrkamp, 1998, pp. 167-205.
8 Cfr. PETER ACKERMANN, Richard Wagners «Ring des Nibelungen» und die Dialektik der Aufklärung, Tut-
zing, Schneider, 1981.
9 Cfr. JÜRGEN MAEHDER, Orchestrationstechnik und Klangfarbendramaturgie in Richard Wagners «Tristan
und Isolde», in Ein deutscher Traum, a cura di Wolfgang Storch, Bochum, Edition Hentrich, 1990, pp. 181-202;
versione it.: Vestire di suoni la notte – Il «Tristano e Isotta» di Wagner come costruzione timbrica, in Tristan und
Isolde, Venezia, Teatro La Fenice, 1994, pp. 115-137 (programma di sala).
FORMALI
E
INTERVALLARI
NELLA
PARTITURA
DEL
PARSIFAL
11

12
priazione della strumentazione e dell’estetica dei timbri, si compirono in maniera
molto differenziata. La notevole diversità dei risultati raggiunti in un’analoga situa-
zione estetica si può cogliere anche nel riallacciarsi dei compositori fin-de-siècle al-
l’uno o all’altro dei vari periodi stilistici succedutisi nell’evoluzione del linguaggio
wagneriano.10 Carolyn Abbate ha dimostrato quanto profondamente la tecnica wag-
neriana di caratterizzare singoli personaggi per mezzo di specifiche tonalità avesse in-
fluenzato Claude Debussy, e con quanta schematicità tale principio fosse applicato
nei primi schizzi del Pelléas et Mélisande.11
Nella formula di «arte della transizione» wagneriana si rispecchia non solo l’orgo-
glio per la conquista di una totale trasformabilità del materiale motivico-tematico, ma
anche il concetto di una rappresentazione musicale dell’azione che concepisce l’onni-
presente «commento orchestrale», nella sua peculiare funzione di identificazione psico-
logica degli spettatori con i personaggi in scena, come compito della tecnica compositi-
va e come sfida alla capacità dell’autore di dar vita a un organismo musicale coerente.
Come il commento dell’«orchestra onnisciente» si doveva adattare al corso dell’azione
e all’intreccio delle argomentazioni – si pensi soltanto al lungo scontro fra Wotan e Fric-
ka nell’atto secondo della Walküre –, così un’illustrazione psicologicamente credibile de-
gli eventi scenici richiedeva altrettanta varietà, tale da superare di gran lunga ciò che po-
teva essere realizzato attraverso un mero sviluppo motivico-tematico.12
Fu Adorno a dimostrare come la complessità del linguaggio musicale concepito per
l’orchestra del Parsifal oltrepassasse quella raggiunta nel Ring des Nibelungen; egli dis-
cusse soprattutto l’artificiosa conciliazione, realizzata nel Parsifal, tra sfere espressive
tradizionalmente divergenti nell’opera romantica tedesca:
L’esperienza compositiva più matura di Wagner tenta di mitigare l’antica contraddizione della
sua opera, quella tra il ‘diatonico’ saturato di fanfare e il ‘cromatico’ più morboso: mentre il
cromatico è esiliato all’inferno, […] il diatonico vi è alieno, nascosto da relazioni tra accordi
modali, anomali gradi congiunti in minore.13
La caratterizzazione adorniana dei motivi conduttori nel Parsifal come ‘sigle’, «cor-
rosi per così dire dall’interno dal loro contenuto allegorico, asceticamente emaciati e
desensualizzati»,14 rimanda solo all’aspetto esterno di un fenomeno tecnico, il cui ve-
ro fondamento va attribuito a una maggiore trasformabilità del materiale musicale. Ste-

10 Cfr. JÜRGEN MAEHDER, Formen des Wagnerismus in der italienischen Oper des Fin de siècle, in Von Wa-
gner zum Wagnérisme. Musik – Literatur – Kunst – Politik, a cura di Annegret Fauser, Manuela Schwartz, Leip-
zig, Universitätsverlag, 1999, pp. 449-485; ID., «La giusta prospettiva dell’orchestra». Die Grundlagen der
Orchesterbehandlung bei den Komponisten der ‘giovane scuola’, «Studi pucciniani» 3, 2004, pp. 105-149.
11 CAROLYN ABBATE, «Tristan» in the Composition of «Pelléas», «Nineteenth-Century Music», V/2, 1981, pp.
13412 Si veda in proposito: JÜRGEN MAEHDER, Studi sul rapporto testo-musica nell’«Anello del Nibelungo» di Ri-
chard Wagner, «Nuova rivista musicale italiana», XXI/1, 1987, pp. 43-66 e XXI/2, 1987, pp. 255-282.
13 THEODOR W. A DORNO, Zur Partitur des Parsifal, in ID., Gesammelte Schriften, Frankfurt, Suhrkamp, 1982,
XVII, pp. 47-51: 49 (la trad. dei passi citati dall’originale tedesco, quando non altrimenti indicato, è di Cecilia Pa-
land14
Ivi, p. 48.
JÜRGEN
MAEHDER

STRUTTURE
fan Kunze coniò la felice formulazione di «procedimento di variazione senza tema» per
caratterizzare la tecnica compositiva delle opere mature di Wagner:
Forse si può affermare con una certa esagerazione: si tratta di un procedimento di variazione
senza tema. Il tema non si consolida mai in modo tale che lo si riconosca nel senso solito di te-
ma con variazioni. Ogni volta che si presenta la stessa struttura motivica, questa è allo stesso
tempo se stessa e variazione, d’altronde, della forma in cui è comparsa.15
Una trasformazione senza il ritorno di elementi identici postula, in ultima analisi, l’i-
dea di variazione continua di un materiale motivico privo d’identità. Il pensiero di una
produzione costante di strutture musicali affini alla prosa risulta senza dubbio conci-
liabile con l’ideale compositivo di un ininterrotto commento musicale all’azione, come
dimostra la partitura dell’Erwartung di Schönberg.16 Essa tuttavia contraddice l’idea
base della tecnica leitmotivica, fondata per l’appunto sulla possibilità di riconoscere gli
elementi musicali con funzione semantica. Una limitazione dell’analisi musicale alle
strutture diastematiche del dramma musicale wagneriano non darebbe risultati atten-
dibili, soprattutto per quanto riguarda la sua produzione tarda, poiché una parte es-
senziale della costruzione musicale risiede nella metamorfosi continua del timbro or-
chestrale, la cui facoltà di produrre perfino una «logica dei timbri» è stata messo in
rilievo da chi scrive.17
Lo stesso Wagner discusse la logica inerente ai timbri musicali, paragonandoli alla
funzione logica del linguaggio umano, in un famoso passo di Opera e dramma:
Nella sua determinativa influenza sulla specialità del suono che esso può rendere, un istru-
mento musicale si potrebbe qualificare come «il suono iniziale concordante e radicale», che si
presenta quale un’allitterazione legativa per tutti i suoni che se ne possono ottenere. L’affinità
degli strumenti fra loro si potrebbe, in conseguenza, determinare molto facilmente, tenendo
conto della somiglianza di questo suono iniziale, a seconda che esso si manifesta, per così di-
re, come effetto di una pronunciazione più morbida o più aspra della consonante, che, in ori-
gine, era loro comune ed eguale. In fatti noi possediamo famiglie di instrumenti, alle quali ap-
partiene originariamente un suono eguale; questo, secondo il carattere diverso dei componenti
della famiglia, dà le gradazioni sonore in modo simile: Come, per es., nella lingua parlata vi
ha affinità fra le consonanti P, B e W, e come colla W urtiamo nella somiglianza colla F, così
l’affinità tra le famiglie d’istrumenti si potrebbe facilmente scoprire, percorrendo una esten-
sione che è molto diramata.18

wissenschaft», XXXVI/1, 1979, pp. 1-20.
17 JÜRGEN MAEHDER, Shinwa, Monogatarikouzou, Neirokousei: Wagner Kenkyu no Paradaimutenkan (Mi-
to, strutture narrative, costruzioni timbriche – Il cambiamento dei paradigmi nella ricerca wagneriana), in Das
Wagner Lexikon, a cura di Tomoyoshi Takatsuji et al., Tokyo, Tokyo Shoseki Co., 2002, pp. 835-842.
18 RICHARD WAGNER, Oper und Drama, in ID., Gesammelte Schriften und Dichtungen, Leipzig, C. F. W. Siegels
Musikalienhandlung, 1907, IV, p. 166 (trad. it. di Luigi Torchi: Opera e dramma, Milano, Bocca, 19393, p. 380).
FORMALI
E
INTERVALLARI
NELLA
PARTITURA
Versuch einer Analyse der ersten Szene, «Archiv für Musik-
DEL
PARSIFAL
13
15 Commento di Stefan Kunze nella discussione sul saggio di CARL DAHLHAUS Zur Geschichte der Leitmotiv-
technik bei Wagner, in Das Drama Richard Wagners als musikalisches Kunstwerk cit., p. 40.
16 Cfr. CARL DAHLHAUS, Ausdrucksprinzip und Orchesterpolyphonie in Schönbergs «Erwartung», in ID.,
Schönberg und andere. Gesammelte Aufsätze zur Neuen Musik, Mainz, Schott, 1978, pp. 189-194; ELMAR BUD-
DE, Arnold Schönbergs Monodram «Erwartung» –

14
Se la critica musicologica della prima metà del Novecento si era dedicata soprattut-
to alla classificazione di identità musicali nell’opera di Wagner, col risultato che l’a-
spetto della trasformazione continua veniva spesso trascurato, l’interesse della ricerca
più recente si è spostato sulla flessibilità delle trasformazioni motiviche,19 sulla ric-
chezza degli insiemi timbrici20 e sul marcato carattere «epico» – nel senso della gran-
de tradizione letteraria sin da Omero – del teatro wagneriano.21 Il progresso più si-
gnificativo ottenuto da una simile prospettiva d’indagine consiste nel fatto che per la
prima volta l’analisi musicale ha riconosciuto piena legittimità al carattere performati-
vo del Musikdrama, le cui componenti, determinate primariamente da esigenze sceni-
che – come l’intonazione del testo, la gestualità dei personaggi e i significativi ‘assoli’
della scena vuota, soprattutto nel Ring e nel Parsifal22 – sono state finalmente apprez-
zate nella loro valenza drammatico-musicale e non solamente teatrale. Non sorprende
che un’articolazione linguistica così complessa abbia favorito la svalutazione di impor-
tanti elementi strutturali, a vantaggio d’un’interpretazione riduttiva del dramma wa-
gneriano come sorta di ‘raddoppio musicale’ degli eventi scenici, sincronizzati con una
rete di motivi conduttori.
L’indagine su quali categorie formali – purché derivate dalla struttura di ciascuna
opera e non semplicemente «calate dall’alto» – possano realmente adattarsi al lin-
guaggio dell’ultimo Wagner viene focalizzata, in questo saggio, su due aspetti del Par-
sifal che si integrano vicendevolmente. La correlazione di micro- e macroforme, che
nelle analisi di Lorenz viene in qualche modo offuscata dalle aporie di un concetto ri-
gidamente formalistico, è stata sempre un problema specifico per l’analisi dell’ultimo
Wagner. Mentre le dimensioni del Ring suggerirebbero, ad esempio, l’impiego di strut-
ture prese dalla tradizione lirica, ma gonfiate a dimensioni temporali finora inudite, le
analisi di Dahlhaus sulla dialogizzazione della tecnica del Leitmotiv lasciano intrave-
dere la possibilità di un’interpretazione dei processi formali di Wagner in chiave oppo-
sta, intesi cioè come contrazioni di nessi ancora più estesi.23 L’interazione di micro- e

19 Cfr. STEFAN KUNZE, Über Melodiebegriff und musikalischen Bau in Wagners Musikdrama, dargestellt an
Beispielen aus «Holländer» und «Ring», in Das Drama Richard Wagners als musikalisches Kunstwerk cit.;
DAHLHAUS, Wagners Kunst des Übergangs cit.
20 JÜRGEN MAEHDER, Timbre and orchestration in Wagner’s «Tristan und Isolde», in Tristan und Isolde, a cu-
ra di Arthur Groos, Cambridge, Cambridge University Press, in corso di stampa («Cambridge Opera Handbook»).
21 Si veda, in proposito: DIETER BORCHMEYER, Das Theater Richard Wagners, Stuttgart, Reclam, 1982 (trad.
inglese di Stewart Spencer: Richard Wagner: Theory and Theatre, Oxford, Clarendon Press, 1991; ANETTE IN-
GENHOFF, Drama oder Epos? Richard Wagners Gattungstheorie des musikalischen Dramas, Tübingen, Niemeyer,
1987; PETRA-HILDEGARD WILBERG, Richard Wagners mythische Welt. Versuche wider den Historismus, Freiburg,
Rombach, 1996.
22 Cfr. CARL DAHLHAUS, Die Bedeutung des Gestischen im Musikdrama Richard Wagners, München, Bayeri-
sche Akademie der Wissenschaften, 1970; STEFAN KUNZE, Naturszenen in Wagner Musikdrama, in Bayreuther
Dramaturgie. «Der Ring des Nibelungen», a cura di Herbert Barth, Stuttgart-Zürich, Belser, 1980, pp. 299-308;
ID., Richard Wagners imaginäre Szene. Gedanken zu Musik und Regie im Musikdrama, in Dramatisches Werk
und Theaterwirklichkeit, a cura di Hans Jürg Lüthi, Bern, Paul Haupt, 1983, pp. 35-44 («Berner Universitätssch-
riften», 28); ID., Szenische Vision und musikalische Struktur in Wagners Musikdrama, in ID., De Musica, a cura
di Rudolf Bockholdt, Erika Kunze, Tutzing, Schneider, 1998, pp. 441-452.
JÜRGEN
MAEHDER

STRUTTURE
macrostrutture, cioè la mediazione compositiva fra dimensione leitmotivica e architet-
tura formale globale, verrà dunque qui posta al centro: ad essa – e in particolar modo
allo specifico intreccio di strutture semantiche, sceniche e propriamente musicali – sa-
ranno rivolti i seguenti tentativi d’analisi della partitura del Parsifal.

II
La definizione tradizionale di motivo conduttore come combinazione di sostanza melo-
dica e denotazione semantica – a cui si aggiunge spesso una precisa referenza testuale,
dal momento che molti Leitmotive vengono presentati per la prima volta da una voce e
sono dunque legati a un testo – si pone a ben guardare in una posizione ambivalente ri-
spetto alla necessità ineludibile di definire delle strutture tonali. L’analisi di un ‘precur-
sore’ del Leitmotiv wagneriano, cioè l’accordo di settima diminuita che, nel Freischütz
di Weber, costituisce l’emblema sonoro del personaggio di Samiel, cioè dell’incarnazio-
ne del male, mostra che tale accordo contiene in nuce le quattro tonalità sulle quali si
sviluppa l’intera scena che si svolge nella Gola del lupo.24 In questo caso, dunque, il Leit-
motiv non espone una tonalità ‘propria’, su cui articolare lo sviluppo della scena, ma
rappresenta piuttosto un sostrato di eventi sonori, passati o futuri.
Leitmotive di una certa importanza nell’opera romantica di Wagner appaiono
d’altra parte così strettamente connessi alla visione di una specifica tonalità, che si
esauriscono, per così dire, nell’inveramento della loro tonalità-base.25 Alla dicotomia
fra elaborazione continua – cioè la forma mutevole dei Leitmotive – e necessità di ri-
conoscibilità in quanto portatore di valenza semantica – cioè obbligo di una qualche
identità del tema conduttore in ognuna delle sue apparizioni – corrisponde nel
Wagner della maturità una tendenza crescente verso la separazione fra l’aspetto dia-
stematico nella dimensione orizzontale, cioè della linea melodica, e quello verticale,
cioè della base armonica implicita nel Leitmotiv. Un tema come quello della spada
nel Ring, che si articola sulle note di un solo accordo, sarebbe difficilmente concepi-
bile nel Parsifal, e sopravvive nel Siegfried e nella Götterdämmerung soltanto quale
fossile di un linguaggio seriore, la cui differenza con l’ultimo stile rende tangibile la
storicità intrinseca alla musica del Ring.26 Il nesso fra specifici Leitmotive e determi-
nate tonalità, ancora presente nelle opere romantiche di Wagner, fu trasformato nei
drammi musicali in una tecnica compositiva di grande complessità, le cui implica-

23 Cfr. DAHLHAUS, Formprinzipien in Wagners «Ring des Nibelungen» cit.; ID., Wagners Kunst des Übergangs
cit.; ID., Der Wahn-Monolog des Hans Sachs und das Problem der Entwicklungsform im musikalischen Drama,
«Jahrbuch für Opernforschung» 1, 1985, pp. 9-25.
24 Cfr. JÜRGEN MAEHDER, Poesia del suono e natura demoniaca. Sulla drammaturgia dei timbri nel «Frei-
schütz» di Carl Maria von Weber, «La Fenice prima dell’Opera», 2004/5, pp. 103-130: 116-125.
25 Il La maggiore del tema di Lohengrin è solo un caso celebre fra molti altri: cfr. JÜRGEN MAEHDER, «Lo-
hengrin» di Richard Wagner. Dall’opera romantica a soggetto fiabesco alla fantasmagoria dei timbri, Torino, Tea-
tro Regio, 2001, pp. 9-37 (programma di sala).
26 KUNZE, Über Melodiebegriff und musikalischen Bau in Wagners Musikdrama cit.; Richard Benz, Zeit-
strukturen in Richard Wagners «Ring des Nibelungen», Frankfurt-Bern, Peter Lang, 1994.
FORMALI
E
INTERVALLARI
NELLA
PARTITURA
DEL
PARSIFAL
15

16
zioni per la musica del Novecento attendono ancora un’indagine sistematica.27
Mentre le innovazioni armoniche di Wagner sono state indagate nei secoli dician-
novesimo e ventesimo, tramite le categorie tradizionali dell’armonia cromatica ed e-
narmonica, cioè in una prospettiva che potenzialmente tendeva alla continua media-
zione fra tutte le tonalità, le ultime partiture si rivelano sorprendentemente ricche di
strutture accordali che resistono al principio di trasposizione. Ciò è particolarmente
evidente in accordi con funzione leitmotivica, che nel corso di un’intera opera si pre-
sentano ovunque, o prevalentemente, sulla stessa altezza. Un esempio particolarmente
interessante di accordo leitmotivico fortemente non trasportabile, è il celebre Tristan-
akkord (accordo di Tristano). Come ha dimostrato Ernst Kurth, nel suo fondamenta-
le studio L’armonia romantica e la sua crisi nel «Tristano» di Wagner, le due inter-
pretazioni principali della stessa configurazione di quattro suoni non soltanto rivelano
un livello inaudito di complessità armonica per gli standard musicali ottocenteschi, ma
rappresentano – quasi in guisa di unità del molteplice – anche i cardini strutturali del-
la drammaturgia di quell’opera.28 L’esempio 1 mostra la trasformazione della settima
con funzione di dominante secondaria in La minore (con quinta alterata al basso e an-
ticipo della settima), nel più convenzionale accordo di settima e nona senza fonda-
mentale sulla dominante di Sol bemolle maggiore. Tale metamorfosi avviene soltanto
tramite l’interpretazione enarmonica di tre dei quattro suoni dell’accordo:
ESEMPIO 1

L’analisi della partitura del Tristan rivela che una trasposizione qualsiasi di questo
aggregato non riveste un’importanza costitutiva per i nessi musicali dell’opera, ma che
i quattro suoni sopra riportati vengono utilizzati nella forma non trasposta. Come di-
mostra l’esempio successivo, Wagner trattò la successione sviluppata in orizzontale di
toni accordali quasi come fosse una serie, così anticipando tecniche di là da venire. L’e-
sempio 2 riporta la linea dei violoncelli e contrabbassi come appare alla fine del prelu-
dio del Tristan: essa va interpretata unicamente come interpolazione iterata del Sol fra
le note dell’accordo di Tristano.

27 Qualche anticipazione la si legga in Richard Wagner. Konstrukteur der Moderne, a cura di Claus-Steffen
Mahnkopf, Stuttgart, Klett-Cotta, 1999.
28 ERNST KURTH, Romantische Harmonik und ihre Krise in Wagners «Tristan», Berlin, Max Hesse, 1920 (rist.
Hildesheim, Olms, 1968, p. 66) e nel capitolo Der Klang als Symbol (ivi, pp. 81-87). Sull’argomento si veda inol-
tre la voce di HERMANN DANUSER, Tristanakkord, in Die Musik in Geschichte und Gegenwart, a cura di Ludwig
Finscher, «Sachteil», vol. 9, Kassel-Stuttgart-Weimar, Bärenreiter-Metzler, 19982, coll. 832-844.
JÜRGEN
MAEHDER

STRUTTURE
ESEMPIO 2 – RICHARD WAGNER, Tristan und Isolde, Preludio (20/2/4)29

Risulta chiaro da un confronto della forma citata, più dissonante, dell’accordo di
Tristano con la sua variante più dolce, riferita alla sfera semantica dell’amore felice, co-
me le costellazioni di altezze riportate nell’esempio 1 non siano frutto del caso. Gli ac-
cordi dolcemente avviluppanti dei legni, che accompagnano il canto dell’aube («Tage-
lied») che Brangania fa sentire dall’alto della torre di guardia e la cui atmosfera fu
magistralmente colta da Gabriele d’Annunzio nella sua poesia Isolda dal ciclo Le adul-
tere (1883),30 si basano sulla forma verticale dell’accordo di settima e nona di domi-
nante di Sol bemolle maggiore senza fondamentale, e quindi sono derivati dall’accor-
do di Tristano.31 Tale disposizione conosce però anche una forma orizzontale, la cui
formidabile posizione drammaturgica nell’ambito dell’atto secondo del Tristan docu-
menta l’impiego deliberato da parte di Wagner dell’accordo iniziale nella sua duplice
veste. L’esempio 3 illustra la linea del canto di Tristano alle parole «O sink hernieder, /
Nacht der Liebe» («Oh scendi quaggiù, / notte d’amore»); la linea melodica del tenore
(seguita poi da quella del soprano) utilizza le note dell’accordo su tutti i tempi forti:
ESEMPIO 3 – RICHARD WAGNER, Tristan und Isolde, II (348/2/6)

La scomposizione dell’accordo di Tristano in due forme complementari, ma di
connotazioni opposte, differenziate solo per la loro funzione in un contesto armoni-
co oscillante tra maggiore e minore allargati, indicò nuovi confini per l’invenzione ar-
monica; in essi Wagner diede una dimostrazione esemplare di quanto fosse amplia-
bile l’ambito dei rapporti armonici tradizionali, e fino a che grado di complessità il
continuum psicologico del commento orchestrale potesse essere spinto. La dialettica
di amore e morte realizzata nell’ambito del Tristano, che rese per sempre obsolete le
tradizionali relazioni drammaturgiche dell’opera romantica tedesca, trovò nell’ambi-

29 RICHARD WAGNER, Tristan und Isolde, Leipzig, Peters, 1911 (rist. New York, Dover, 1973, p. 20). I riferi-
menti alla stessa partitura nell’es. 4, e a quella di Parsifal (Leipzig, Peters, s.a.; rist. New York, Dover, 1986) per
quelli successivi, vengono dati mediante il numero di pagina, eventualmente seguito da quello del sistema e della
prima battuta, separati da barra e racchiusi fra parentesi tonde.
30 GABRIELE D’ANNUNZIO, Canto novo. Intermezzo, Milano, Treves, 1924, p. 143 e segg.
31 Cfr. HELLMUTH KÜHN, Brangänes Wächtergesang. Zur Differenz zwischen dem Musikdrama und der fran-
zösischen Großen Oper, in Richard Wagner – Werk und Wirkung, a cura di Carl Dahlhaus, Regensburg, Bosse,
1971, pp. 117-125.
FORMALI
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NELLA
PARTITURA
DEL
PARSIFAL
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18
gua interpretazione dell’accordo di Tristano e nella molteplicità delle sue realizzazio-
ni musicali un’ideale corrispondenza.32
La necessità non soltanto di mantenere e sviluppare lo spessore linguistico, così co-
me la correlazione di strutture musicali e drammaturgiche, fu soddisfatta, nelle succes-
sive partiture dei Meistersinger, Siegfried, Götterdämmerung e Parsifal, da una molte-
plicità di soluzioni che giunsero a superare il livello di difficoltà già raggiunto con il
Tristano. Una delle direzioni verso cui Wagner sviluppava il proprio linguaggio musi-
cale concerneva la valenza semantica dei motivi conduttori, il cui impiego comportò la
trasformazione, passata a tutt’oggi quasi inosservata, da un livello associativo alla tec-
nica di una vera e propria genesi formale.
Si può verificare la novità di questi nuovi aggregati semantico-musicali esaminando
un punto culminante nell’atto secondo di Parsifal, cioè il richiamo di Kundry «Parsi-
fal! Weile!» («Parsifal! – Resta!»), la cui importanza viene illuminata da un appunto
del diario di Cosima Wagner del 31 ottobre 1878:
Richard mi disse «Sai, quando Kundry chiama Parsifal – e mi cantò quel richiamo così insi-
stente e tenero – come la prima volta che il nome era stato pronunciato, e così lo aveva chia-
mato sua madre! Questo può farlo solo la musica».33
L’impressione del passaggio di un ‘Altro’ musicale, che pur risulta mediato con il
precedente ensemble delle Fanciulle-fiore, fu formulato compiutamente per la prima
volta da Adorno:
Il luogo di svolta del tutto, il richiamo di Kundry «Parsifal», sorge dal suono dell’ensemble del-
le Fanciulle-fiore, da due voci interne tenute, e si rivela proprio nell’identità con il ‘preceden-
te’ come ‘non-identico’.34
Il richiamo di Kundry si leva all’interno di un tutti orchestrale che, immediatamente
dopo il primo quarto, viene smorzato da un forte diminuendo. Nelle battute seguenti
si compie il passaggio quasi ‘atemporale’ dalla tonalità preminente di La bemolle mag-
giore, che sosteneva l’ensemble delle Fanciulle-fiore, al Sol maggiore, che Wagner col-
legava – non solo qui, ma anche nell’atto secondo del Siegfried – all’immagine della
madre dell’eroe.35 L’analisi di questo passaggio richiese molta fatica agli studiosi; una
mera definizione dell’importante seconda domanda di Kundry come «sezione di trans-
izione» non renderebbe giustizia all’importanza drammaturgica di questa scena,36 né
soddisfa la schematizzazione abbreviata della sequenza accordale proposta da Gösta
Neuwirth (Re

32 Cfr. MAEHDER, Orchestrationstechnik und Klangfarbendramaturgie in Richard Wagners «Tristan und Isol-
de» 33 COSIMA WAGNER, Die Tagebücher, a cura di Martin Gregor-Dellin, Dietrich Mack, München-Zürich, At-
lantis, 1977, II, p. 75.
34 ADORNO, Zur Partitur des Parsifal cit., p. 48.
35 JEAN-JACQUES NATTIEZ, Wagner androgyne. Essai sur l’interprétation, Paris, Bourgois, 1990; trad. italiana:
Wagner androgino. Saggio sull’interpretazione, Torino, Einaudi, 1997.
36 ALFRED LORENZ, Der musikalische Aufbau von Richard Wagners «Parsifal», Berlin, Max Hesse, 1933 (rist.
Tutzing, Hans Schneider, 1966, pp. 119-123).
11-9
-Sol9
JÜRGEN
[=Fa 9]) come interpretazione dei procedimenti armonici di
MAEHDER

STRUTTURE
ESEMPIO 4 – RICHARD WAGNER, Parsifal, II (336)

queste battute (cfr. es. 4).37 La linea del basso mostra che il Sol, fondamentale anche
nelle battute seguenti, viene già raggiunto come secondo tono, mentre il tritono di-

37 GÖSTA NEUWIRTH, «Parsifal» und der musikalische Jugendstil, in Richard Wagner – Werk und Wirkung
cit., pp. 175-198: 184.
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August Spiess (1841-1923), Parsifal nel giardino incantato. Castello di Neuschwanstein.

scendente Re –Sol desta l’impressione di una «discesa di quinta sbagliata», tanto più
che compare quando il movimento cadenzante della voce superiore verso Sol bemolle
maggiore viene negato dal Re[-Mi ]4 che Kundry intona all’unisono con l’oboe (so-
stenuto, all’ottava, dal primo corno). Quest’ultima nota è tuttavia parte integrante del
motivo del Folle, la cui comparsa fa naufragare il percorso armonico già avviato dalle
altre voci. La cadenza mirata da Re bemolle maggiore7/9 a Sol bemolle maggiore vie-
ne elusa dalla voce superiore a causa della logica tematico-motivica; le relazioni inter-
vallari – determinate semanticamente del motivo del Folle – rendevano necessario il
Re-Mi della voce, in modo da escludere il movimento cadenzante verso Sol bemolle
maggiore. Il successivo Sol dei bassi, che entra sotto il Re 4 tenuto da Kundry, può es-
sere interpretato come il compimento della cadenza originaria, ma risulta spostato di
un semitono verso l’alto; le parti estreme del tessuto orchestrale abbandonano dunque
il nesso suggerito dalle voci mediane e sviluppano una propria vita armonica fondata
sui motivi e, in ultima analisi, sulla loro correlazione semantica.
Il richiamo di Kundry viene subito ripreso dal tenore che intona «“Parsifal”? / So
nannte träumend mich einst die Mutter» («“Parsifal”…? / Così un giorno mi chiama-
va in sogno mia madre») una terza maggiore sotto, ricalcando esattamente la testa del
tema del nome, che compare così per la prima volta all’altezza originale:
JÜRGEN
MAEHDER

STRUTTURE
ESEMPIO 5 – RICHARD WAGNER, Parsifal, II (337)

Come nell’atto primo il messaggio celeste risuonava sulla bocca di Amfortas e di Gur-
nemanz («“Durch Mitleid wissend, / der reine Tor / harre sein, / den ich erkor!”» –
«“per compassione sapiente, / il puro folle, / costante attendilo, / cui io ho eletto!”»),
così ora «Parsifal» risuona dalla voce dello stesso «puro folle». L’identità stabilita tra-
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DEL
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mite la trasposizione simmetrica di questo motivo, in cui confluiscono «Parsifal», quel
puro folle e quel tenore che evoca l’appello onirico della madre, è ottenuta con un ar-
tificio: se parla quello stesso soggetto, soltanto il commento dell’«orchestra onniscien-
te» può rivelarne la vera identità.
La linea melodica ascendente su «Parsifal» termina sul Si, sotto il quale si insinua,
a mo’ di conclusione sbagliata, la tonalità a lungo attesa di Sol maggiore. Alla parola
«Mutter» («madre») risuona – come già nell’atto secondo del Siegfried – il primo ac-
cordo di Sol maggiore privo di dissonanze dell’intera sezione, in una calda, naturale
distribuzione dei suoni sugli strumenti ad arco che grazie al Re, il suono più grave del
clarinetto in Si , acquista una sfumatura «femminile».38
Con il Sol maggiore viene raggiunto sì il punto d’arrivo delle modulazioni, che le
precedenti dieci battute avevano determinato, ma la tonalità non appare a Wagner
carica di un’espressività bastante per iniziare subito una sezione estesa. Solo il prose-
guimento del canto di Kundry porta, sei battute dopo, a una compiuta, esplicita ca-
denza sulla dominante Re maggiore, che introduce i versi «Ihr kindischen Buhlen,
weichet von ihm;» («Voi, amanti fanciulle, da lui allontanatevi;»), per approdare poi
al suo arioso «Ich sah das Kind an seiner Mutter Brust» («Il bimbo io vidi al seno
della madre»).
I versi «Hier weile! Parsifal! – / Dich grüsset Wonne und Heil zumal!» («Qui rima-
ni, Parsifal! – / Gioia e salvezza insieme ti salutano!»), vengono intonati da Kundry a
partire dal Re4, in uno schema derivato dall’intervallo di sesta del primo richiamo,
«Weile!», qui esteso, con maggiore intensità, a una settima. Questa evocazione del no-
me, la terza da parte di Kundry, si vale del modello allo stato fondamentale, e comple-
ta una concatenazione intervallare fra i tre motivi in quinta e terza (Sol [-Fa ], Re, Si ,
Sol, Mi ), che solo a causa della sostituzione dell’ultima terza minore con una maggio-
re non abbraccia l’ambito di un’intera ottava. In questa sequenza, grazie alla trasposi-
zione simmetrica del motivo conduttore, si definisce l’identità di Parsifal come «puro
folle»: Wagner raggiunse un amalgama fra struttura intervallare, costruzione armoni-
ca, sviluppo tematico e il motivo conduttore, con la sua valenza semantica, che, nella
sua impalpabile complessità, chiarifica il dramma. La connessione logico-sintattica rea-
lizzata in queste battute sancisce la definitiva identità fra il personaggio Parsifal nella

38 È nota la famosa caratterizzazione ‘femminile’ dell’impiego del clarinetto, fra i più antichi tópoi dell’or-
chestrazione, nel Freischütz di Weber che Hector Berlioz pubblicò per la prima volta nella «Revue et Gazette Mu-
sicale de Paris» fra il 21 novembre 1841 e il 17 luglio del 1842, per poi riprenderla anche nella suo Grand Traité
d’Orchestration et d’Instrumentation modernes (Paris, Schonenberger, 1843; rist. De l’instrumentation, a cura di
Joël-Marie Fauquet, s.l. [Bègles], Le Castor Astral, 1994, p. 57; trad. it.: Grande trattato di strumentazione e di
orchestrazione, a cura di Alberto Mazzucato (con appendici di Ettore Panizza), 3 voll., Milano, Ricordi, © MCMXII
(rist. 1983), II, p. 34): «Quale più ammirabile esempio mi sarebbe possibile di citare, come applicazione di qual-
cuno di questi coloriti, di quella frase meditabonda a mezzo l’Allegro dell’Ouverture del Freischütz, accompagnata
dal tremolo degli strumenti a corda!!! Ella è pure la vergine isolata, la bionda fidanzata del cacciatore, che, gli oc-
chi fissi al cielo, mesce i teneri suoi gemiti al susurrìo del vento, che rompesi fra i rami di annosa foresta?… Oh
Weber!…».
JÜRGEN
MAEHDER

STRUTTURE

Vilmos Andreas (Willy) Pogány (1882-1955), illustrazione (Parsifal con le Fanciulle- fiore) per un libro di Richard
Specht.

sua essenza di «puro folle» e il suo materiale motivico, ed è fondamentale per l’intera
opera, come si evince dal dialogo seguente fra Kundry e Parsifal dopo l’uscita delle Fan-
ciulle-fiore.
All’unisono «Du Thor!» («Tu folle!») delle Fanciulle-fiore segue una sezione ac-
compagnata dagli archi, ora a quattro ora a cinque parti, che espongono, trasforman-
dolo, il modello intervallare del nome «Parsifal», includendovi l’intervallo di sesta, che
comporta il ritorno alla prima comparsa del motivo nell’atto primo, declamato da Am-
fortas, dove le parole «Der reine Thor …» erano state intonate sulla sequenza sesta
maggiore ascendente-quinta discendente-terza minore ascendente. Nel contrapporre,
tramite la voce di Kundry, la forma «Parsifal» e la sua presunta derivazione dall’arabo
«Falparsi», sfruttando il Do come asse di simmetria comune, Wagner dispose le sillabe
del nome secondo una simmetria a specchio: la sequenza tritono-sesta minore determi-
nata dal sostrato testuale, che nel motivo di testa degli archi appare come semplice va-
riante del motivo del Folle, viene dunque legittimata poche battute dopo come ‘chia-
smo’ musicale. Poiché Kundry cita se stessa, l’altezza del motivo del folle «Parsifal»
viene elevata, con maggiore intensità, sopra una triade di La minore offuscata da un
Sol3 dei secondi violini, mentre i primi violini eseguono di salto la sesta minore, remi-
niscenza immediata del ruolo semantico di questo intervallo, poc’anzi «Falparsi»:
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PARTITURA
DEL
PARSIFAL
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ESEMPIO 6 – RICHARD WAGNER, Parsifal, II (343)

È evidente che Wagner trattò i due salti di sesta sulle parole di Kundry «thör’ger Rei-
ner» e «reinen Thoren» come materiale semanticamente determinato, in grado di in-
fluenzare la linea vocale anche nel prosieguo. La successiva menzione del nome di Par-
sifal da parte di Kundry («Nein, Parsifal, du thör’ger Reiner!» – «No, Parsifal, o puro
folle!») è totalmente basata su questo intervallo, che per di più prende avvio dal Re4,
cioè dal punto di partenza del suo primo richiamo («Weile!»):
JÜRGEN
MAEHDER

STRUTTURE
ESEMPIO 7 – RICHARD WAGNER, Parsifal, II (346/1/3)

Non meno eloquente appare la contrapposizione fra gli intervalli di tritono e di quin-
ta giusta alle parole «Namenlosen» («il Senzanome», Parsifal) e «nannt’ ich» («Io ho
chiamato», Kundry, es. 6). Ciò testimonia come Wagner intendesse utilizzare lo statu-
to dei precedenti nessi semantici tra versi e intervalli anche come spiegazione del modo
di interagire tra i personaggi in scena, come conferma l’intonazione delle parole «wenn
nicht der Kunde Wunsch?» («se non brama di saperlo?», 345/1/2).
Il rifarsi alla costellazione intervallare delle sillabe «Falparsi», sebbene trasposta di
un semitono e combinata con la discesa cromatica del secondo clarinetto, originaria-
mente legata dai secondi violini al nome «Parsifal», appare significativo non soltanto
per i rinvii molteplici di queste battute. La microstruttura della partitura esplicita mol-
to più lo scambio come interazione dei due personaggi in scena: Kundry svela a Parsi-
fal le sue origini, e il contenuto di tale rivelazione è la duplice figura del nome «Parsi-
fal» – «Falparsi».
La sintassi delle connessioni motiviche nel Parsifal può dunque essere compresa e
descritta con il sistema normativo della logica filosofica: principio di identità e con-
traddizione, ma anche relazioni di natura più complessa, come il rapporto ricorrente
tra i versi di Kundry e l’intenzione drammatica che li permea, appartengono al reper-
torio di segni dell’«orchestra onnisciente».39

III
L’interesse sorto negli ultimi anni per le configurazioni narrative delle opere wagneria-
ne,40 riferito sia alle strutture musicali sia a quelle poetiche dei momenti di narrazione
(dei quali abbonda soprattutto il Ring), ha determinato la predilezione della ricerca re-
cente per il carattere aperto di certe costruzioni formali nell’opera di Wagner. Una de-
scrizione delle tendenze strutturanti nell’intero corpus wagneriano che volesse rinun-
ciare completamente alla categoria delle macroforme ‘chiuse’ come anche disfarsi delle
estese parti ‘statiche’, perderebbe di vista un elemento essenziale di questo teatro. La
circostanza che la «partitura statica» del Parsifal – come la definì Adorno – sia anche
la prima e ultima opera per cui il compositore abbia escogitato l’effetto delle sceno-
grafie mobili, in grado di consentire, cioè, la graduale trasformazione della scena sotto

39 MAEHDER, Studi sul rapporto testo-musica nell’«Anello del Nibelungo» cit.
40 Si vedano, in proposito: Analyzing Opera. Verdi and Wagner, a cura di Carolyn Abbate, Roger Parker, Ber-
keley-Los Angeles-London, University of California Press, 1989; CAROLYN ABBATE, Unsung Voices: Opera and
Musical Narrative in the Nineteenth Century, Princeton, Princeton University Press, 1991; THOMAS
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PARTITURA
DEL
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25
S. GREY,
Wagner’s musical prose. Texts and contents, Cambridge, Cambridge University Press, 1995.

26
gli occhi degli spettatori, rinvia a un nuovo ideale di rappresentazione teatrale dinami-
ca, che Wagner sviluppò nella tarda maturità.41
Se all’interno del Ring le scene di natura costituivano un vero e proprio cardine del-
l’edificio musicale, poiché in esse la sospensione del tempo musicale veniva collegata al
dispiegarsi quasi ‘solistico’ di un’illusione scenica autonoma, nel Parsifal questa fun-
zione toccò alle scene rituali. Esse sono statiche in virtù della loro costruzione musica-
le, prive di azione a causa dell’esibita iterazione degli atti rituali stessi, mentre un aspet-
to essenziale del loro fascino sullo spettatore, sia acustico sia ottico, si fonda
nell’apertura di spazi saturi, sia scenicamente che sonoramente. La teoria dell’azione
teatrale ha reso giustizia a questo particolare carattere dell’atto di culto:
Spettacoli (rituali, cerimoniali; di festa e celebrazione; rappresentazioni e assemblee ecc.) sono
stilizzati, vale a dire strutturati attraverso ripetizioni e uniformità, che vengono ricapitolati e
richiamano alla mente, in forma condensata, rilevanze già vissute; o eventi anticipati, rappre-
sentati interamente nel piano dell’opera, che sono aspettati o temuti e, attraverso la realizza-
zione dello spettacolo, ricevono importanza nel suo piano preliminare.42
Un’analisi comparata tra le «voci dall’alto», che nel Liebesmahl der Apostel (Cena
degli apostoli, 1843) consolano i giovani scoraggiati,43 la gradazione sonora realizza-
ta nel preludio del Lohengrin e i cori degli atti primo e terzo del Parsifal sarebbe adat-
ta ad abbozzare un quadro precisamente definito della composizione, che nell’opera di
Wagner si collega con le categorie di sacralità e di ‘aura’. Sul carattere ‘auratico’ della
musica del Parsifal si è espresso per primo Adorno, ma il concetto proviene indubbia-
mente da Walter Benjamin, che definì come ‘aura’ di un’opera d’arte l’apparizione «di
una lontananza, per quanto questa possa essere vicina».44 La connessione fra tecnica
musicale dell’eco e la più astratta categoria estetica di ‘aura’ fu proposta da Adorno nel
suo saggio sulla partitura del Parsifal:
è come un tentativo non solo di rappresentare i pensieri musicali dello stile di Parsifal, bensì
di comporlo con la sua aura, che si forma non nel momento dell’esecuzione, quanto in quello
dello smorzarsi. Solo chi si abbandona all’eco della musica, piuttosto che alla musica stessa,
può seguirne l’intenzione.45
I brevi interventi corali che sfumano verso l’alto, così frequenti nella partitura del
Parsifal, costituiscono, alla stregua degli accordi cangianti dei legni nel preludio dell’o-
pera, un paradigma di eco fissato in partitura in ogni dettaglio che, per mezzo di raffi-

41 Cfr. CARL FRIEDRICH BAUMANN, Bühnentechnik im Festspielhaus Bayreuth, München, Prestel, 1980; MAR-
TINA SROCKE, Richard Wagner als Regisseur, München-Salzburg, Katzbichler, 1988; EVA N BAKER, Richard Wagner
and His Search for the Ideal Theatrical Space, in Opera in Context. Essays on Historical Staging from the Late
Renaissance to the Time of Puccini, a cura di Mark A. Radice, Portland (OR), Amadeus Press, 1998, pp. 241-278.
42 URI RAPP, Handeln und Zuschauen, Darmstadt, Luchterhand, 1973, p. 180.
43 WINFRIED KIRSCH, Richard Wagners biblische Szene «Das Liebesmahl der Apostel», in Geistliche Musik.
Studien zu ihrer Geschichte und Funktion im 18. und 19. Jahrhundert, a cura di Constantin Floros et al., «Ham-
burger Jahrbuch für Musikwissenschaft», vol. 8, Laaber, Laaber, 1985, pp. 157-184.
44 WALTER BENJAMIN, Das Kunstwerk im Zeitalter seiner technischen Reproduzierbarkeit, Frankfurt, Suhrkamp,
1963 (trad. it.: L’opera d’arte nell’epoca della sua riproducibilità tecnica, Torino, Einaudi, 20003, pp. 24-25).
45
ADORNO, Zur Partitur des Parsifal cit., p. 47 e segg.
JÜRGEN
MAEHDER

STRUTTURE
nate mescolanze sonore fra gli strumenti dell’orchestra e le voci del coro, tenta di imi-
tare il graduale diradarsi dello spettro di frequenze dal basso verso l’alto in eco natu-
rale. Il filtraggio del suono, che risulta da tale specifica tecnica di orchestrazione, si
orientava verso l’esperienza acustica di suoni che si riverberano fino all’estinzione al-
l’interno di una grande cupola. Le frequenze basse si smorzano per prime, mentre nel
registro acuto permane un residuo vibrante, che suggerisce l’impressione dello spazio
di una cupola di ampie dimensioni.46 Considerata come evento drammatico-musicale,
la disposizione dei cori invisibili nella partitura del Parsifal segue un modello di effetto
musicale di lontananza, già sperimentato nel grand-opéra e nell’opera romantica tede-
sca: dalla Médée di Cherubini (1799), ai grands-opéras di Spontini e Meyerbeer esso è
parte essenziale dell’illusione musicale, e contribuì in maniera essenziale all’effetto di
allargamento dello spazio scenico – suggerito grazie all’azione, alla messa in scena e al
movimento dei personaggi – al di là dei suoi limiti fisici.47 La visione scenica di una
cupola imponente per il tempio del Gral, la cui estensione oltre la misura effettiva del-
lo spazio teatrale viene suggerita dalla musica, trovò una corrispondenza negli bozzet-
ti di Paul von Joukowsky per la prima assoluta a Bayreuth nel 1882, basati sul model-
lo offerto dal duomo di Siena. Che la scelta di tale intuizione fondamentale non fosse
casuale lo documenta il noto appunto dal diario di Cosima Wagner del 22 agosto 1880,
redatto in occasione del primo soggiorno dei Wagner a Siena:
Arrivo a Siena verso le 10.00, subito visita alla città, gran caldo, la posizione non molto bel-
la, per me meno male Perugia ancora molto in mente. Ma che visita al Duomo! Richard
commosso fino alle lacrime, che impressione grandissima ha ricevuto da quell’edificio. Io
vorrei ascoltare il preludio di Parsifal sotto la cupola! Beata in mezzo a pensieri pieni di
preoccupazioni, di poter condividere con Richard questa estasi, sentimento di gratitudine
per il mio destino.48
Non soltanto il richiamo alla fabbrica senese, ma anche l’idea sonora di una suddi-
visione del tutti orchestrale in un complesso di voci acute e una parte in rilievo per i
timpani viene prefigurata in un precedente appunto di Cosima (20 gennaio 1878):
Di sera Richard fantasticava la Messa solenne, come l’avrebbe abbozzata: «I timpani accom-
pagnano il canto come se fosse un lieve terremoto».49
Mentre Adorno rilevò con pertinenza l’accresciuta padronanza tecnica della stru-
mentazione, richiamando l’attenzione in particolare sull’estensione del raddoppio al
gruppo degli ottoni, non sono ancora state indagate a sufficienza l’inclusione del coro

46 Cfr. JARMIL BURGHAUSER, ANTONÍN SPELDA, Akustische Grundlagen des Orchestrierens, Regensburg, Bos-
se, 147 Cfr. JÜRGEN MAEHDER, Historienmalerei und Grand Opéra – Zur Raumvorstellung in den Bildern Géri-
caults und Delacroix’ und auf der Bühne der Académie Royale de Musique, in Meyerbeer und das europäische
Musiktheater, a cura di Sieghart Döhring, Arnold Jacobshagen, Laaber, Laaber, 1999, pp. 258-287.
48
49
COSIMA WAGNER, Die Tagebücher, cit., p. 585.
Ivi, p. 38.
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NELLA
PARTITURA
DEL
PARSIFAL
27

28
nella formazione di sonorità complesse, da cui deriva la sua spersonalizzazione:50 nes-
suno dei registri naturali delle voci entra nei cori del Gral come timbro puro. I cavalie-
ri vengono rappresentati musicalmente da un unisono di tenori e bassi, gli scudieri da
una mescidanza sonora di contralti e tenori, le voci dei fanciulli, infine, da una combi-
nazione di contralti e soprani. In virtù del suo ambito, che Wagner collocò in posizio-
ne intermedia fra voci femminili e maschili, la melodia dell’Agape sacra può essere ese-
guita senza sforzo da combinazioni corali differenti. Un tale timbro, realizzato in un
accostamento quasi asessuato da soprani e contralti o da contralti e tenori, fu cercato
dal compositore, sulle tracce di una sonorità priva di individualità di registro. Né si può
ignorare il fatto che la «mescolanza androgina» nei cori del Parsifal si armonizza con
talune tendenze della letteratura, dell’arte figurativa e della musica fin-de-siècle:51 l’os-
sessione del fascino estetico dell’androgino costituisce uno dei momenti più rappresen-
tativi della décadence europea.52
Alla spersonalizzazione sonora delle voci superiori collocate sulla cupola del tempio
del Gral si aggiunge quella ottica, grazie alla disposizione dei cori su due piani invisi-
bili, al di sopra del palcoscenico. Quelle compagini suggeriscono la presenza di una co-
munità più grande di quella raccolta intorno ad Amfortas. Il rituale della ostensione del
Gral si rispecchia in particolar modo nella disposizione dei singoli gruppi corali. Solo
ai cavalieri è concesso di partecipare al banchetto, mentre i gruppi rimanenti seguono
un ordine legato al registro. Il corrispettivo ottico dell’«altezza» musicale è costituito
dalla struttura architettonica del tempio, cui concorre lo stile musicale per l’imitazione
del sacro, così come dalla disposizione della comunità in ordine gerarchico per la cele-
brazione del rituale.
La simmetria della forma realizzata negli atti primo e terzo, in cui cori di cavalieri,
di paggi e scudieri, secondo un ordine speculare, si dispongono intorno al culmine sa-
crale, corrisponde non soltanto all’idea fondamentale di un rito musicale, ma rispec-
chia inoltre la concezione fondamentale di una visione architettonica trasformata in
struttura formale. Il diagramma seguente mostra come anche la posizione dei coristi
nello spazio rifletta la struttura ad arco di quella musicale:
Gral
Paggi
Cavalieri
La simmetria interna dell’atto primo, disturbata dall’intervento di Amfortas, che
anelando alla morte si rifiuta di compiere il rito, è altrettanto evidente della struttura
formale modificata dell’atto terzo che, per la presenza della salma di Titurel e l’osten-

50 EGON VOSS, Studien zur Instrumentation Richard Wagners, Regensburg, Bosse, 1970; HANS-JOACHIM
BAUER, Wagners «Parsifal». Kriterien der Kompositionstechnik, München-Salzburg, Katzbichler, 1977.
51
52
1930.
NATTIEZ, Wagner androgino cit.
Cfr. MARIO
PRAZ, La carne, la morte e il diavolo nella letteratura romantica, Milano-Roma, La cultura,
Scudieri
Paggi
Scudieri
Cavalieri
JÜRGEN
MAEHDER

STRUTTURE

Mariano Fortuny (1871-1949), Parsifal si prepara ad uccidere il cigno. Tempera su cartone. Venezia, Museo For-
tuny.
sione della lancia redentrice da parte di Parsifal, raggiunge un carattere più teleologi-
co. Ciononostante, l’idea di una struttura formale ricavata dall’architettura della cu-
pola, con differenti livelli di presenza sonora e scenica degli esecutori, è inconfondibi-
le. Intorno al doppio ritorno del motivo dell’Agape sacra, la cui disposizione fu
mutuata dal momento della transustanziazione del rito cattolico, appaiono le diverse
gerarchie della comunità del Gral, ognuna con la propria rappresentazione musicale,
disposti secondo la metafora della cupola per architettura e altezza sonora.
L’esempio proposto, nella partitura del Parsifal, di una macrostruttura musicale non
autonoma ma chiaramente eteronoma che caratterizza le scene del Gral non può as-
surgere a valore rappresentativo per l’intera opera del Wagner maturo, poiché nel Ring
des Nibelungen, ad esempio, mancano totalmente manifestazioni musicali di una co-
munità organizzata gerarchicamente che siano comparabili a questa. Tuttavia può ser-
vire come modello per una tendenza della recente ricerca wagneriana a interpretare for-
me musicali non soltanto come prodotto di processi tematico-motivici, ma anche –
ponendo l’accento sulla legittimazione di tutti gli aspetti dell’opera d’arte totale – a
trattare come strutturali configurazioni musicali di pari dignità, che traggano la loro le-
gittimazione da premesse drammaturgiche o perfino dalla visione scenica.
FORMALI
E
INTERVALLARI
NELLA
PARTITURA
DEL
PARSIFAL
29

1. Foto con la scena del Castello di Klingsor (prima rappresentazione assoluta), di Paul von Joukowsky (1845-
1912).
2. Una scena della prima rappresentazione assoluta: Winckelmann (Parsifal) con le Fanciulle- fiore. Hermann
Winckelmann (Winkelmann; 1849-1912) esordì a Sondershausen nel Trovatore. Oltre che come primo Parsifal,
acquistò fama anche in altri ruoli wagneriani (Loge, Siegfried, Tristan, Walther von Stoltzing).

Giovanni Guanti
W il Parsifal

Arrogante insultante e tracotante come in Abbasso il tango e Parsifal («Lettera Futuri-
sta circolare ad alcune amiche cosmopolite che dànno dei thé-tango e si parsifalizzano.
11 gennaio 1914»),1 Filippo Tommaso Marinetti era apparso soltanto nel manifesto
Contro Venezia passatista, datato 27 aprile 1910 e sottoscritto anche da Umberto Boc-
cioni, Carlo Carrà e Luigi Russolo, corresponsabili quindi di cotanto oltraggio:
Ripudiamo la Venezia dei forestieri, mercato di antiquari falsificatori, calamita dello snobismo
e dell’imbecillità universali, letto sfondato da carovane di amanti, semicupio ingemmato per
cortigiane cosmopolite, cloaca massima del passatismo.
Noi vogliamo guarire e cicatrizzare questa città putrescente, piaga magnifica del passato.
Noi vogliamo rianimare e nobilitare il popolo veneziano, decaduto dalla sua antica grandez-
za, morfinizzato da una vigliaccheria stomachevole ed avvilito dall’abitudine dei suoi piccoli
commerci loschi.2
Basta, stop! Per quanto semplice citatore dell’altrui pensiero, non tollero che si latri
(per di più con quadruplice gola) contro la Serenissima; men che meno, che le testimo-
nianze dell’interventismo viriloide e goliardico dei Futuristi possano ancor oggi ispira-
re, anche a Carnevale finito, strampalati assalti di carrocci o pronunciamenti insurre-
zionali dai campanili. Avendole tuttavia richiamate, sia pure obtorto collo, non vorrei
adesso riconsegnarle agli archivi delle patrie lettere senza aver tentato almeno di ana-
lizzarne la composizione: in primis, di quel tossico che, secreto dalle ghiandole veleni-
fere del solo Marinetti, gronda da ogni riga del suo Abbasso il tango e Parsifal.
Nella micidiale mistura, e per principiare dal fatto più evidente, si riscontrano con-
siderevoli sedimenti dei due pamphlets nietzscheani del 1888-1889, Il caso Wagner e
Nietzsche contra Wagner, letti tardivamente da Marinetti in francese in Le Crépuscule
des Idoles (Mercure de France, Paris 1910). Gocce corrosive come queste:
[la ‘melodia infinita’] possiamo spiegarcela come uno scendere in mare, perdere via via la si-
curezza del passo sul fondo e abbandonarsi infine alla mercè dell’ondeggiante elemento: si de-
ve nuotare. […] dal predominio di un simile gusto può sorgere per la musica un pericolo che

1 In Per conoscere Marinetti e il futurismo, antologia a cura di Luciano De Maria, Milano, Arnoldo Monda-
dori, 1973, pp. 138-140.
2
Ivi, pp. 26-27

32
più grande non potrebbe immaginarsi – la totale degenerazione del senso ritmico, il caos al po-
sto del ritmo.3
meticolosamente fatte colare dal filosofo tedesco sul capo dei «nemici nati della logica
e della linea retta» bramosi «di tutti gli oppiacei dei sensi e della ragione»,4 alimente-
ranno a dovere, per vie traverse, anche l’invettiva marinettiana contro le coppie-mollu-
schi «barcollanti di noia e di languore» nel «dondolio epidemico» di quel caos delique-
scente che, «diffondendosi a poco a poco nel mondo intero», minacciava «di imputridire
tutte le razze, gelatinizzandole»:
Tango, rullio e beccheggio di velieri che hanno gettata l’ancora negli altifondi del cretinismo.
Tango, rullìo e beccheggio di velieri inzuppati di tenerezza e di stupidità lunare. Tango, tango,
beccheggio da far vomitare.5
Ma se il tango («Lussuria all’aria aperta. Delirium tremens. Mani e piedi d’alcoo-
lizzati. Mimica del coito per cinematografo. Valzer masturbato») «è male, Parsifal è
peggio», essendo stati i «suoi acquazzoni, le sue pozzanghere e le sue inondazioni di la-
grime mistiche»6 ad alimentare la palus putredinis in cui affondava la «Venezia fradi-
cia di romanticismo»:7 ossia, la città che più di ogni altra il Futurismo desiderava bo-
nificare drasticamente al grido di
Bruciamo le gondole, poltrone a dondolo per cretini, e innalziamo fino al cielo l’imponente
geometria dei ponti metallici e degli opifici chiomati di fumo, per abolire le curve cascanti del-
le vecchie architetture.8
Sarebbe bastata quest’effusione sovrabbondante d’acque anche metaforiche, e tutte
quelle onde e quegli ondeggiamenti riveriti dai «nemici della linea retta», a rendere de-
testabile agli occhi di Nietzsche (che apprezzava soltanto la musica che «non suda»),9
e di Marinetti (che vedeva nei gondolieri «dei becchini intenti a scavare cadenzatamente
delle fosse in un cimitero inondato»),10 il bateau ivre della décadence europea e il con-
giunto wagnerismo in versione dannunziana, floreal-liberty o Tod in Venedig. Ma nel-
la «Lettera Futurista circolare» Abbasso il tango e Parsifal – scritta soltanto sette mesi
prima che il vecchio Continente s’imbarcasse a sua volta nel peggior affare della sua
storia millenaria, dopo l’assassinio dell’arciduca Francesco Ferdinando a Sarajevo – si
possono decifrare anche le tracce (al contempo mitiche e premonitrici) di un’altra, con-
comitante e altrettanto copiosa, effusione: questa volta di sangue.
L’aveva in un certo senso già invocata Wagner nell’incompiuto Del femminino nel-
l’umano, vera e propria postilla conclusiva a quel Religion und Kunst che reca nell’in-

3 FRIEDRICH NIETZSCHE, Nietzsche contra Wagner. Documenti di uno psicologo, in ID., Opere 1882-1895, Ro-
ma, Newton Compton, 1993, p. 906.
4
5
6
7
8
9
10
Ivi p. 909.
Marinetti e il futurismo cit., p. 139.
Ibid.
Ivi, p. 27.
Ibid.
FRIEDRICH NIETZSCHE, Il caso Wagner. Un problema per musicisti, in ID., Opere 1882-1895 cit., p. 671.
Marinetti e il futurismo cit., p. 29.
GIOVANNI
GUANTI

WILPARSIFAL
testazione «Ca’ Vendramin, 11 febbraio 1883» (vale a dire, due giorni prima della sua
morte), e sospende enigmaticamente il discorso su queste parole:
È un bell’aspetto della leggenda, che anche il vittorioso perfetto [Buddha] si lasci indurre ad
accettare la donna. Nondimeno il processo di emancipazione della donna continua soltanto tra
spasimi estatici. Amore – tragedia.11
Restano solo poche pagine della suddetta postilla, che s’appoggia con cieca fiducia –
dopo averne riconosciuto la «spaventosa forza di persuasione» – al
quadro estremamente elaborato di questo processo degenerativo delle razze umane, che il con-
te Gobineau ci presenta con la sua opera Essai sur l’inégalité des races humaines.12
Poche pagine ma sufficienti, da un lato, a ridurre al silenzio con l’evidenza della prova
più schiacciante chi vorrebbe farci credere che l’antisemitismo di Wagner fu o episodi-
co o disorganico al quadro complessivo della sua Weltanschauung; dall’altro, a illu-
strarci nel migliore dei modi quanto esiziale ed equivoco fosse quel mélange di biolo-
gia e mistica, di spiritualismo e nazionalismo, che caratterizzò il pensiero del Maestro
e quello di un’intera cultura che accettò senza batter ciglio elucubrazioni siffatte:
Fedeltà amorosa: matrimonio; in ciò risiede il potere dell’uomo sulla natura, e noi lo chiamia-
mo divino. È esso che plasma le razze pure. La derivazione di queste dalle retrograde razze in-
feriori potrebbe essere facilmente spiegata col procedere della monogamia dalla poligamia; cer-
to è che nella saga e nella storia la razza bianca più pura si presenta monogama fin dalla sua
prima apparizione, ma poi con le conquiste va subito incontro alla propria rovina a causa del-
la commistione poligamica coi sottomessi.13
Lungi dal distanziarsi da tale cultura, rinnegata insieme ai «maestri simbolisti ulti-
mi amanti del chiaro di luna»; ma, al contrario, sedotto dal mito del sangue (a onor del
vero, mai di quello puro invocato dagli psicotici dell’eugenetica,14 bensì del sangue
eroico sempre in bocca alla retorica nazionalista e al retoricume belligerante), Marinetti
non wagnerizza forse anche lui quando afferma che la danza che testimoniò la «felini-
tà selvaggia della razza argentina» – ora «stupidamente addomesticata, morfinizzata, e
incipriata» nella «goffaggine dei tango inglesi e tedeschi» e nel «plagio dei tango pari-
gini, e italiani» – «minaccia di imputridire tutte le razze, gelatinizzandole»?

11 RICHARD WAGNER, Religione e arte, trad. it. di Enrico De Angelis e Michela Simonetti, Genova, Il melan-
golo, 1987, p. 156.
12 Ivi, pp. 137-138.
13 Ivi, p. 155.
14 Com’è noto, Marinetti protestò pubblicamente, in nome dell’avanguardia artistica italiana, contro le leggi
razziali del 1939, come aveva già protestato contro la riforma Gentile della scuola e il Concordato. Fascista della
prima ora e intimo di Mussolini, il giorno in cui l’Italia entrò in guerra telefonò da casa sua, presente lo scultore
Sante Monachesi che ne darà testimonianza, al Duce per urlargli testualmente: «Se si potessero raddrizzare le gam-
be ai cani, verrei lì da te a raddrizzartele. Credevi di giocare sul tavolo della pace e ti sei cacciato in guerra. Sei un
gran coglione. Bada che la guerra è già persa, ma ormai ci sei dentro fino al collo!» (in SERGIO LAMBIASE, GIOVANNI
BATTISTA NAZZARO, Marinetti e i futuristi, Milano, Garzanti, 1978, p. 199).
33

34
Ma se questa, che oggi si definirebbe una globalizzazione coreutica, «è male»,
Parsifal è peggio, poiché inocula […] una incurabile nevrastenia musicale. […] Parsifal è la
svalutazione sistematica della vita! Fabbrica cooperativa di tristezza e di disperazioni. Stira-
menti poco melodiosi di stomachi deboli. Cattiva digestione e alito pesante delle vergini qua-
rantenni. Piagnistei di vecchi preti adiposi e costipati. Vendita all’ingrosso e al minuto di ri-
morsi e di viltà eleganti per snobs. Insufficienza del sangue, debolezza di reni, isterismo,
anemia e clorosi.15
È dunque sempre sulle ragioni del sangue, di quel sangue la cui anemica insuffi-
cienza Marinetti velenosamente deplorerà in chi s’era ormai del tutto parsifalizzato, che
si fonda anche Religion und Kunst; ed è a questo saggio, l’ultimo scritto dal Wagner fi-
losofo, che deve rivolgersi ogni interprete del messaggio racchiuso nell’ultima opera del
Wagner compositore.
a buon diritto possiamo considerare la storia universale un risultato dell’incrocio di questa raz-
za bianca con la razza gialla e nera, per cui queste razze inferiori entrano nella storia proprio
nel modo e nella misura in cui si trasformano grazie a quell’incrocio, diventando simili alla
razza bianca. La corruzione della razza bianca trae dunque la propria origine dal fatto che que-
sta, incomparabilmente più esigua rispetto alle razze inferiori, fu costretta a incrociarsi con
quelle; per cui, come già osservato, perdendo la propria purezza, essa ci rimise più di quanto
quelle poterono guadagnarci in vista della nobilitazione del loro sangue.16
Se si leggessero, in quella degna postfazione al Bühnenweihfestspiel che fu Reli-
gion und Kunst, soltanto pensieri siffatti, s’avrebbe forse un fondato motivo per giu-
dicare il Parsifal (sempre sulla scia di Nietzsche) un’opera ideologicamente, non cer-
to esteticamente, cattiva;17 e cattiva al punto da giustificare, quale contrappasso,
anche la cattiveria sesquipedale di un Marinetti, e il suo incalzante invito a boicot-
tarne le recite, un tempo reservate e ormai allestite «dappertutto e specialmente in
provincia», e a consegnare
alla foia bestiale del pubblico il cadavere di Wagner, novatore di cinquant’anni fa, la cui ope-
ra ormai sorpassata da Debussy, da Strauss e dal nostro grande futurista Pratella, non signifi-
ca più nulla!18
E invece, la granitica fede wagneriana nel fatto che «non avremmo avuto una sto-
ria dell’umanità se non ci fossero stati i moti, le conquiste e le creazioni della razza
bianca»19 si scopre irrimediabilmente scissa in due monconi non combacianti, e dai
lembi ancor più restii a «guarire e cicatrizzare» della stessa Venezia, «piaga magnifica

15 Marinetti e il futurismo cit., pp. 139-140.
16 WAGNER, Religione e arte cit., p. 139.
17 Cfr. NIETZSCHE, Nietzsche contra Wagner cit., p. 911: «Il Parsifal è infatti un’opera della malvagità, del-
la brama di vendetta, del segreto veneficio contro i presupposti della vita, un’opera cattiva – La predica della
castità resta un’istigazione alla innaturalità: io disprezzo chiunque non intenda il Parsifal come un attentato al-
l’eti 18
19
Marinetti e il futurismo cit., p. 140.
WAGNER, Religione e arte cit., p. 139.
GIOVANNI
GUANTI

WILPARSIFAL
del passato»,20 o della ferita di Amfortas. Infatti, e per dirla in sintesi estrema, le pre-
sunte ragioni della superiorità di questa non meglio identificata (e identificabile) razza
bianca appaiono, a dir poco, caotiche e problematiche; come problematica e caotica
appare ogni storia della ricezione del Parsifal, costretta a tener conto per amor di com-
pletezza e di obiettività di ciò che ne fecero sia gli ermetisti rosacrociani e i vegetariani
pacifisti di fine Ottocento, sia le SS impegnate in liturgie neo-templari dai vertici del
Terzo Reich.
È dunque nell’intimo della sua stessa fede, proclamata da Wagner con serietà testa-
mentaria in Religion und Kunst senza curarsi della palese contraddittorietà delle spe-
ranze ripostevi, che il sangue eucaristico si mescola nel più arcano dei modi con il san-
gue ariano, e l’esaltazione di ciò che dovrà sgorgare dai possenti lombi degli stalloni e
delle fattrici teutoniche si confonde con il liquor vitæ effuso dal costato di Cristo e de-
votamente raccolto da Giuseppe d’Arimatea nella Sacra Coppa.
La superiorità della razza bianca pare insomma fondarsi, in Religion und Kunst,
per un verso sulle motivazioni di un essenzialismo dogmatico e categorico che oggi è
assai facile mettere in dubbio e confutare; per l’altro, sulla congettura che essa abbia
la più alta attitudine a compassionare schopenhauerianamente il creato; ossia – e i teo-
logi perdonino non a me, ma a Wagner, questa forse poco ortodossa convergenza – a
soffrire insieme al cosmo con Cristo, per Cristo e in Cristo, nella speranza della re-
surrezione.
Se dando uno sguardo d’insieme a tutte le razze è impossibile negare l’unità del genere uma-
no, e se possiamo definire ciò che lo costituisce nel senso più nobile come capacità del dolore
consapevole, includendo però in questa capacità l’inclinazione al supremo sviluppo morale, ci
chiediamo allora a questo punto in che cosa può essere ricercata la superiorità della razza bian-
ca, se proprio la dobbiamo innalzare al di sopra delle altre. Con bella sicurezza Gobineau in-
dividua tale superiorità non tanto in uno sviluppo eccezionale delle stesse qualità morali della
razza bianca, quanto piuttosto in una maggiore riserva di peculiarità fondamentali da cui quel-
le discendono. Tali peculiarità dovremmo ricercarle nella sensibilità più vigorosa e allo stesso
tempo più delicata della volontà che si manifesta in una ricca organizzazione, congiunta al-
l’intelletto più acuto necessario a questo scopo. Per cui è allora importante se l’intelletto, gra-
zie agli stimoli della volontà esigente, si innalza fino alla chiaroveggenza, la quale riverbera la
propria luce sulla volontà e, domandola, si fa in tal caso impulso morale: al contrario la so-
praffazione dell’intelletto da parte della volontà che ciecamente brama caratterizza per noi la
natura più vile, perché in tal caso non dobbiamo ancora intendere i bisogni eccitatori come
moventi illuminati dalla luce dell’intelletto, bensì come impulsi volgarmente sensoriali.21
Lascio volentieri al lettore il piacere di immaginare quanto dovettero penare le
«amiche cosmopolite che dànno dei thé-tango e si parsifalizzano» per disporre in un
quadro decente l’ipotizzata «unità del genere umano» e le teorie razziali di Gobineau.
Da parte mia, mi limiterò a segnalare la metamorfosi (non del tutto prevedibile) dei

20
21
Marinetti e il futurismo cit., p. 27.
WAGNER, Religione e arte cit., pp. 139-140.
35

36
perfidi sottovoce adoperati da Nietzsche soprattutto in presenza di wagneriane («Tra
sensualità e castità non esiste necessariamente opposizione»)22 nella stentorea trombo-
nata machiste del padre del Futurismo:
Possedere una donna, non è strofinarsi contro di essa, ma penetrarla.
– Barbaro!
Un ginocchio fra le cosce? Eh via! ce ne vogliono due!
– Barbaro!
Ebbene, sì, siamo barbari! Abbasso il tango e […]
Tristano e Isotta che ritardano il loro spasimo per eccitare re Marco. Contagocce dell’a-
more. Miniatura delle angosce sessuali. Zucchero filato del desiderio.23
Nel manifesto dell’11 gennaio 1914, Tango e Parsifal – quali sintomi di una cultu-
ra insieme snobistica e industrializzata – paiono dunque fondere al fuoco cupo dell’e-
rotismo, per amalgamarsi in una lega velenosa di dubbia consistenza. Il 31 dicembre
1913, trascorsi trent’anni dalla scomparsa del Maestro, era intanto cessato il diritto del
Festival di Bayreuth a rappresentare il Parsifal in esclusiva. Preceduto e affiancato da
un imponente battage pubblicitario, che non ebbe nulla da invidiare in invasività e per-
vasività a quelli odierni, e alla cui vincente strategia di marketing finì col contribuire
anche il manifesto di Marinetti, il 1° gennaio 1914 fu salutato in quasi tutti i paesi del
mondo come il «giorno del Parsifal».24
Nel nostro paese, ben due teatri lo rappresentarono contemporaneamente quel pri-
mo dell’anno: il Comunale di Bologna, che già vantava le maggiori benemerenze wa-
gneriane in Italia, e il Costanzi di Roma. Il 9 gennaio 1914 fu la volta della Scala (con
Tullio Serafin sul podio), il 20 gennaio del Verdi di Trieste (direttore Gino Marinuzzi),
poi via via di tutti gli altri: nei primi otto mesi dell’anno ben undici teatri italiani lo mi-
sero in scena. Inutile ripetere che, volente o nolente, anche l’Abbasso marinettiano in-
crementò l’audience.
Al poeta, diversamente che a Wagner, non riuscì il coup de théâtre di morire a Ve-
nezia: la città lagunare restò infatti soltanto la terzultima delle sue dimore terrene.
L’abbandonò in extremis, spostandosi per i pochi mesi che gli restavano ancora da vi-
vere a Cadenabbia, e infine nella pur sempre ‘lagunare’ Bellagio, dove si spense il 2 di-
cembre 1944. Riguardo all’industrializzazione persino della cultura più elitaria eredi-
tata dal Romanticismo – e alla possibilità di svagarsi in pari misura con il Parsifal e
con il tango – aveva visto giusto con largo anticipo. Ma la nazione che nel 1914 sem-
brava ricordare fin troppo bene il monito contenuto nella ‘Prefazione’ del Nietzsche
contra Wagner

22 NIETZSCHE, Nietzsche contra Wagner cit., p. 910.
23 Marinetti e il futurismo cit., p. 139.
24 Fecero eccezione gli Stati Uniti, i quali, avendo anche allora optato per l’intervento preventivo unilate-
rale, s’erano autoattribuiti già da tempo i diritti d’esecuzione del Parsifal in barba alle proteste dei legittimi be-
neficiari.
GIOVANNI
GUANTI

WILPARSIFAL
E avrei forse da dire una parola all’orecchio anche ai signori Italiani, che amo tanto quanto…
Quosque tandem, Crispi…Triple Alliance: con il ‘Reich’ un popolo intelligente farà sempre e
soltanto una mésalliance …25
nel 1944 stava, invece, amaramente scontando le conseguenze della sopravvenuta, in-
fausta amnesia.
Nel frattempo, anche l’ultima partitura di Richard Wagner s’era fatta strada nel se-
colo dei totalitarismi, tenendo una rotta che soltanto i più coraggiosi dei discendenti di-
retti del Maestro hanno osato cartografare:
Dopo tutto, se mia nonna avesse accettato la proposta di nozze di Hitler, io mi chiamerei Gott-
fried Wagner-Hitler! (Lo storico Robert Wistrich fa riferimento alla proposta di matrimonio
nel suo Who’s Who in Nazi Germany del 1982).
Hitler e Wagner sono quindi parte della mia biografia. Questo collegamento procurò una
profonda crisi alla mia identità di Wagner, tedesco e cristiano dopo l’Olocausto, che potei su-
perare solo attraverso una costante analisi critica della mia posizione. Tormentato da questi
dubbi, e un po’ per insicurezza nei confronti del tema, scelsi di dare alla mia conferenza un ti-
tolo in forma interrogativa: Adolf Hitler e Richard Wagner?.
La conferenza fu il mio primo tentativo fallito di interpretazione, compiuto secondo il me-
todo tipico della nuova Bayreuth di separare le opere di Wagner, in particolare il Parsifal, che
ammetteva diverse possibilità di interpretazione, dagli scritti antisemiti. Citai infatti la seguen-
te frase tratta da Eroismo e cristianesimo, che Wagner aveva scritto riferendosi al suo Parsifal:
«Il sangue del Salvatore, che scorre dal suo capo, dalle sue ferite sulla croce – quale uomo sa-
crilego avrebbe osato chiedere, se appartenesse alla razza bianca o a quale altra razza?». Ave-
vo estrapolato la frase dal contesto generale degli scritti antisemiti di Wagner. Nonostante l’e-
satta sequenza cronologica delle citazioni, comprese quelle del mio prozio Chamberlain, di mia
nonna Winifred e di Hitler […] non avevo ancora capito o, guardandolo con gli occhi di og-
gi, non volevo capire, il terribile quadro che si delineava con tutte le sue conseguenze: lo stes-
so Richard Wagner aveva già dato il suo contributo all’indissolubile legame fra Bayreuth, The-
resienstadt e Auschwitz. Allora non volevo vedere in Wagner un corresponsabile, non volevo
scrivere questa grande «E» che lo univa a Hitler.26
Rifiutare il culto di Wagner praticato a Bayreuth dal 1876 al 1945, e ancor più la
rimozione del periodo nazista esercitata nell’era della nuova Bayreuth, non significa ov-
viamente rimuovere (men che meno, rifiutare) il Parsifal, il quale esige, come ogni al-
tra opera d’arte, d’essere innanzitutto interpretato. Marinetti avrà certo avuto le sue,
se non proprio buone, comprensibili ragioni per attaccarlo proprio nello stesso mese in
cui diventava finalmente di pubblico dominio; rileggendo però l’Abbasso il tango e Par-
sifal! si può appurare che (come anche nel Contro Venezia passatista) il bersaglio rea-
le della polemica è – ancor più della singola e specifica manifestazione artistica – «l’im-
becillità della moda» e «la corrente pecorile dello snobismo».

25 NIETZSCHE, Nietzsche contra Wagner cit., p. 903.
26 GOTTFRIED WAGNER, Il crepuscolo dei Wagner, trad. it. di Teresina Rossetti Wagner, Milano, il Saggiatore,
1997, pp. 235-236.
37

38

Il Festpielhaus, quale appariva al suo completamento. Edificato su progetto di Otto Brückwald (1841-1917), e
inaugurato nel 1876 con la prima rappresentazione dell’intero Ring (direttore, Hans Richter), il Festspielhaus do-
veva poi riaprire soltanto nel 1882, con la prima assoluta di Parsifal (direttore, Hermann Levi).

Re e Regine dello snobismo, sappiate che dovete un’obbedienza assoluta a noi, ai futuristi, no-
vatori vivi! […] Noi v’insegneremo ad amare e a difendere qualcosa di vivo, o cari schiavi e
pecore dello snobismo.27
Ora, proprio questa insormontabile idiosincrasia per la «vendita all’ingrosso e al mi-
nuto di rimorsi e di viltà eleganti per snobs»28 stabilisce esattamente il limite ideale di
quei due manifesti: che infatti, coerentemente all’assunto iniziale, attaccarono lo sno-
bismo en masse, senza andare troppo per il sottile nel distinguere individuo da indivi-
duo all’interno dell’infamata categoria.
Contro il selciato sconnesso di Piazza San Marco, che i Futuristi avrebbero senza
dubbio spianato volentieri col cemento in nome del progresso e dello «splendore geo-
metrico e meccanico», aveva urtato infatti il piede dello scrittore snob per antonoma-
sia, che non a caso amò con la stessa intensità il Parsifal e «le curve cascanti delle vec-
chie architetture» veneziane. Dal ricordo di quell’urto – miracolosamente risorto nella
memoria involontaria del Narratore della Recherche, e che per «gli amici nati della lo-
gica e della linea retta» poteva rappresentare solo un piccolo, insignificante incidente –
Proust ricevette invece la prima, risolutiva illuminazione circa il significato della pro-

27
28
Marinetti e il futurismo cit., p. 140.
Ibid.
GIOVANNI
GUANTI

WILPARSIFAL
pria erigenda cattedrale di parole; la seconda sarebbe invece venuta dalla musica del
Parsifal, che il Narratore sentì filtrare da un uscio socchiuso durante la sua attesa nel-
la biblioteca del principe di Guermantes.29
Cosa fischiettavi, andandotene in gita con gli amici, quando credevi che la strada da
percorrere fosse ancor lunga per te? Tra le innumerevoli risposte tenuteci in serbo dal
Passato (ma che anche il Presente dovrebbe fornire, per estendere e complicare con la
sua testimonianza i labirinti della memoria) spunta inopinatamente il nome «Parsifal».
Infatti, il 28 marzo 1902, Venerdì Santo,
le automobili partirono verso la regione a nord-est di Parigi con a bordo Proust, i due Bibe-
sco, Fénelon, Lauris e Robert de Billy – e forse anche Lucien Henraux e il marchese François
de Pâris. […] Nel pomeriggio, sulla strada del ritorno, si fermarono a Coucy, distante da Laon
una quindicina di chilometri, per vedere il castello duecentesco il cui torrione», aveva letto
Proust in Viollet-le-Duc, «è il più bell’esempio di architettura militare medievale in Europa; in
confronto a questo gigante, tutti gli altri sembrano fuscelli». Anche qui Emmanuel [Bibesco]
fece in modo che gli amici scorgessero la prima immagine del castello da un punto ai piedi del-
la collina, di dove si vede anche la base levarsi alta sopra le cime degli alberi. Salirono insieme
la scala a spirale del torrione; Proust si appoggiava a Fénelon il quale, parte per rincuorare l’a-
mico ansimante, parte perché era davvero venerdì santo, cantava il motivo dell’Incantesimo
del Venerdì Santo dal Parsifal. Raggiunta la piattaforma sulla cima, alta quasi sessanta metri
da terra, contemplarono – in uno di quei momenti eterni di cui è fatto il Tempo Perduto – i
meli in fiore lontani sotto di loro sull’Ile de France, l’ultima luce del sole, lo sconfinato pae-
saggio verde della loro prima giovinezza. Poi scese l’oscurità, l’aria si fece fredda.30
È confortante pensare che il romanzo che si sarebbe rivelato la Divina Commedia
del secolo ventesimo – la cui prima parte fu pubblicata dall’editore parigino Grasset nel
novembre del 1913, due mesi prima dell’insolente Abbasso marinettiano – abbia inve-
ce manifestato tanta riconoscenza verso il Parsifal e le pietre dissestate di Venezia.

29 Tra i molti meriti del Proust musicien di Jean-Jacques Nattiez (trad. it. di Roberta Ferrara, Proust musici-
sta, Palermo, Sellerio, 1992) va segnalata la sagacia con cui viene svelata al lettore – pagina dopo pagina, e as-
suefacendolo fin dal primo capitolo (Il «Parsifal» come modello redentore dell’opera redentrice) alla tesi che l’in-
tera Recherche sia una moderna Queste du Saint Graal – la reale entità del debito del romanziere francese verso
il capolavoro wagneriano.
30 GEORGE D. PAINTER, Marcel Proust, trad. it. di Elena Vaccari Spagnol e Vittorio De Giuro, Milano, Feltri-
nelli, 1970, pp. 299-300.
39

Denis Krief, Pianta generale delle scene per Parsifal al Teatro la Fenice di Venezia, 2005.
Denis Krief, Pianta di scena (II) per Parsifal al Teatro la Fenice di Venezia, 2005.

Denis Krief
La ferita del teatro

Il tema della Purificazione si ripeteva circolarmente; passando dal flauto all’oboe. In fondo al-
la Calle Stella incontrai un sottoportego lungo e oscuro come una caverna; voltai a sinistra, se-
condo la regola che mi ero prefissato.
Il tema era passato ora, come per incanto agli archi; diventava sempre più piano, pianissi-
mo; si interruppe come sperdendosi in una terzina. Una pausa. Entrai nella Calle Ruzzini. Gli
archi tolsero le sordine, il suono diventò più scuro, più intenso pur restando nel piano. Una
parte dei violoncelli e dei contrabbassi suonava un Fa diesis grave, all’unisono. Una brevissi-
ma pausa; altri violoncelli e altri contrabbassi si unirono ai primi, anch’essi senza sordine. Gur-
nemanz cantava «Das ist» (Questo è), un respiro, «Karfreitags Zauber» (L’incantesimo del Ve-
nerdì Santo); davanti a me si aprirono il cielo e il mare della laguna.
GIUSEPPE SINOPOLI, Parsifal a Venezia, 1991
Parsifal è un’opera che sopravvive nell’acqua. Il fuoco è un elemento che non gli appar-
tiene più, esaurito nell’incendio del Walhalla che scatena una immane inondazione. Alla
fine del ciclo del Ring le cose tornano dove erano al principio. Il tesoro in fondo al Re-
no. Acqua dappertutto. E appunto quando Richard Wagner si mette di nuovo in cam-
mino e scrive un’opera nuova si lascia dietro le spalle questa catastrofe idrica, questa on-
da lunga che ha travolto tutto con sé e si è portata via l’ultima fiammella accesa da Loge,
il dio del fuoco che spunta ovunque lungo l’intero ciclo del Ring e che non ritroveremo
ora mai più. Con Parsifal si ricomincia, ma dopo che è passato lo tsunami che ha scon-
volto tutto e reso irriconoscibile perfino il Musikdrama wagneriano, che ora dovrà chia-
marsi con un nome diverso? Bühnenweihfestspiel è Parsifal. Si possono tentare varie tra-
duzioni che si avvicinano suppergiù al significato del vocabolo tedesco, ma quel che conta
è che nella parola la scena acquista improvvisamente un valore sacrale. Un rito per un
mondo sconvolto che si risveglia in un’alba da day after. Wagner ricomincia da zero.
Il Buddha: «Per conformarmi alle usanze, io ho preso moglie – e trascorrevo le giornate nel mio
palazzo, indossando abiti trapunti di perle, sotto la pioggia di profumi, rinfrescato dai ventagli
di trentatremila donne, guardando i miei popoli dall’alto delle mie terrazze, adorne di campa-
nelli tintinnanti. Ma la vista delle miserie del mondo mi distolse dai piaceri. Sono fuggito. Ho
chiesto l’elemosina per le strade, coperto di stracci raccolti nei sepolcri, e giacché c’era un ere-
mita molto sapiente ho voluto diventare suo schiavo; stavo alla sua porta e gli lavavo i piedi.
Ogni sensazione fu annullata, ogni gioia, ogni languore. Poi concentrando il mio pensiero in
una meditazione più vasta, ho conosciuto l’essenza delle cose, l’illusione delle forme».
GUSTAVE FLAUBERT, La tentation de Saint Antoine, 1874

42
Parsifal è un’opera orientata. Nel senso che l’ago della bussola non punta verso il Nord
ma verso Oriente. Intravediamo l’India verso cui si era mosso Alessandro il Macedone
per la sua ultima grande impresa, quando oltrepassa i confini occidentali dell’impero
persiano e si avvia dopo Isso, Persepoli, Susa, Ecbatana, verso un mondo di meraviglie
da cui sa che non farà più ritorno. Richiamo irresistibile a cui soggiace anche Wagner,
che si lascia avvolgere dalle lussureggianti foreste del pensiero indiano. Così il terreno
su cui si muove Parsifal inclina ineluttabilmente verso l’India, che accende il musicista
di entusiasmo al punto da concepire un dramma musicale dedicato a Buddha e a con-
servare una traccia delle leggende dedicate ad Alessandro nell’episodio delle Fanciulle-
fiore. Nel Romanzo di Alessandro di Alexandre Paris il racconto è bellissimo. L’eserci-
to si imbatte in un frutteto dove ai piedi di ogni albero è seduta una ragazza. Ma al
momento della partenza le ragazze rifiutano di accompagnare i macedoni:
All’inizio dell’inverno, in previsione del freddo, rientrano tutte sotto terra e subiscono una me-
tamorfosi. E quando l’estate ritorna, quando si schiarisce il tempo, esse ritornano alla forma
naturale di fiori bianchi. Le donne che nascono dai fiori hanno visi umani e il fiore tutto at-
torno, costituisce il loro abito. Ciascuno di questi abiti cade fino a terra ed è così ben tagliato
e della loro misura, che esse non hanno alcun bisogno di forbici.
Mi piace pensare a Wagner che distoglie lo sguardo da Nord elaborando Parsifal.
Lo completa a Palermo. Colloca Monsalvat in una indefinita Spagna moresca. Fa re-
care a Kundry il balsamo per Amfortas dall’Arabia. Ma l’intera concezione di Parsi-
fal evoca una prospettiva buddista, nonostante la materia del Gral ci obblighi a cer-
care altrove, verso le tradizioni celtiche. Parsifal è il «puro folle» che vince il desiderio
come Budda. Quando ancora doveva delinearsi il progetto del Ring Wagner aveva svi-
luppato il soggetto per un dramma buddista, I vincitori, in cui il protagonista è un di-
scepolo prediletto del Budda, che resiste alle tentazioni di una seduttrice che sembra il
prototipo di Kundry. E perfino la costruzione del dramma musicale wagneriano ha
qualche debito con la religione indiana. C’è un passo nell’autobiografia in cui Wagner
pone un paragone molto interessante fra la dottrina della reincarnazione e l’impiego
del Leitmotiv. Il tema conduttore si ‘reincarna’ come si reincarna l’anima nelle diver-
se esistenze.
Soprattutto occorre – e qui sta l’apporto di Wagner alla mitologia universale – conoscere e non
conoscere, vale a dire sapere ciò che si ignora. «Durch Mitleid wissend»: non attraverso un
atto di comunicazione, ma attraverso uno slancio di pietà che offre una via d’uscita al dilem-
ma nel quale un intellettualismo per lungo tempo riconosciuto, rischiava di imprigionare il
pensiero mitico.
DENIS
KRIEF
CLAUDE LÉVI-STRAUSS, Lo sguardo da lontano, 1983
Rappresentare Parsifal? Forse è un’aberrazione rappresentare un rito se si pensa che la
rappresentazione teatrale è nella sua stessa essenza un rito. Parsifal è la più solenne
aberrazione dell’opera lirica perché va oltre la dissoluzione delle convenzioni melo-
drammatiche tentata da Wagner nel corso della sua carriera. Finalmente edificato il tea-
tro che potrà ospitare la nuova forma d’arte wagneriana, Bayreuth accoglie un rito –

LA
l’unico rito possibile – che non può fare a meno di svelare la sua natura di spettacolo,
di artificio. Parsifal è un teatro che sprigiona energia e che continua ad annunciare il
semplice fatto che non si può fare a meno del teatro, che insomma la scena è un ine-
sauribile campo di forze, dai Greci a noi: «Est ist ein altes Buch zu blättern / Vom Harz
bis Hellas immer Vettern» (È un vecchio libro da sfogliare / Dall’Harz all’Ellade tutti
parenti) faceva dire Goethe a Mefistofele nel Faust. Perché non dovrebbe valere per il
teatro quello che risulta chiaro per la storia dell’arte? L’antico sopravvive fino a noi,
spesso seguendo una traiettoria non definita consapevolmente dall’artista. Il teatro di
Bayreuth è una sintesi spaziale fra antico e moderno, una Pathosformel come direbbe
Aby Warburg, un forma di teatro dell’avvenire in cui sopravvive l’impronta dell’anti-
co. E qui Wagner andrà a deporre uno spettacolo che non appartiene più al mondo del-
l’opera e nemmeno a quello del Musikdrama. Un rito.
All’angolo di una strada Karl vide un manifesto con questa scritta: «Oggi dalle sei di mattina
a mezzanotte, all’ippodromo di Clayton, viene assunto personale per il Teatro di Oklahoma!
Il grande Teatro di Oklahoma vi chiama! Vi chiama solamente oggi, per una volta sola! Chi
perde questa occasione la perde per sempre! Chi pensa al proprio avvenire, è dei nostri. Tutti
sono i benvenuti! Tutti quelli che si uniscono al nostro teatro si renderà felice. Ciascuno tro-
verà il suo posto! Affrettatevi perché è aperto fino a mezzanotte! A mezzanotte viene chiuso
tutto e non si riapre più! E maledetto sia chi non crede in noi! A Clayton!».
FRANZ KAFKA, America, 1912-1927
Debbo fare i conti con un’opera che non è più un’opera. Wagner l’ha concepita perché
venisse rappresentata nel suo teatro. È nata per un teatro che è la concretezza di un’u-
topia. È dunque un’opera utopistica? In un certo senso credo di sì, perché Wagner non
prova nemmeno a combattere tutte le convenzioni dell’opera del suo tempo. Il suo ge-
sto semmai è semplicemente quello di lasciarle tutte alle spalle. È un formidabile passo
avanti rispetto al teatro del Ring che presentava già un teatro tutto mentale. Stavolta
entriamo in una nuova fase. Parsifal è un’opera che sorge da quella forma di malattia
incarnata dal teatro di Bayreuth. È scritta come fosse una profezia per un teatro che
non avverrà mai. Wagner è come tanti altri profeti un veggente cieco. In realtà non ri-
esce a vedere il suo teatro. Tanto è vero che per la sua nuova creazione sogna un tea-
tro invisibile, consequenziale all’orchestra invisibile. Immagina una scena che si tra-
sforma a vista ma non ha i mezzi tecnici per realizzarla. E neppure prova a procurarseli.
Ora i mezzi ci sarebbero ma forse non è più questo che adesso conta davvero.
Leggiamo la sera Le Baccanti di Euripide: impressione molto sgradevole.
COSIMA WAGNER, Diario, 1872
Un giorno qualcuno mi ha definito «un architetto mancato». Non lo considero affatto
un’offesa, sento di avere proprio una spiccata predilezione per l’architettura. Il mio la-
voro nel tempo si è rivelato come una scoperta progressiva di nuovi linguaggi, definiti
attraverso solidi e volumi. Provengo da una tradizione teatrale che si è formata con la
pittura e, in certi casi, ho esplorato i limiti di queste risorse, come nel caso del colore
nero, che ho cominciato ad impiegare circa dieci anni fa. Poi c’è stato l’avvicinamento,
FERITA
DEL
TEATRO
43

44
fatto con circospezione, della curva. Ho cominciato con una piccola curva in uno spet-
tacolo e poi non mi sono fermato più. È stata la mia dichiarazione di guerra contro la
prospettiva centrale, che per me in teatro è roba ormai vecchia, come la simmetria ele-
vata a sistema. Per non andare troppo lontano, basti pensare al superamento della vi-
sione centrale nel teatro wagneriano di Bayreuth. E così la curva mi ha preso la mano.
Del resto, io abito a Roma che è una città, architettonicamente parlando, fatta di mol-
tissime curve, un paesaggio di curve; la seduzione della curva si fa sentire anche in que-
sto Parsifal. Lo spazio scenico è uno spazio ormai destrutturato, dove conta una geo-
metria fatta di linee oblique, di curve.
… tanto che ridusse a perfezzione il modo di tirare le prospettive delle piante de’ casamenti e
da’ profili degli edifizii condotti in sino alle cime delle cornici e de’ tetti, per via dell’interseca-
re le linee, facendo che le scortassino e diminuissino al centro, per avere prima fermato o alto
o basso, dove voleva, la veduta dell’occhio; e tanto insomma si adoperò in queste difficultà,
che introdusse via modo e regola di mettere le figure in su’ piani dove elle posano i piedi e di
mano in mano dove elle scortassino e diminuendo a proporzione sfuggissino, il che prima si
andava facendo a caso.

Calpesto la prospettiva. E in questo Parsifal si può tranquillamente dire che la pro-
spettiva calpestata diventa un dato di fatto, concreto. La prospettiva è intesa come
un valore simbolico della nostra civiltà e, come abbiamo detto, Parsifal nasce dalla
constatazione di una profonda crisi di valori, avvenuta a seguito di una catastrofe che
non ha nome. C’è un inusitato risalto dell’elemento naturale. La ferita del cigno è la
natura violata per una comunità alla ricerca di redenzione, per un popolo che cam-
mina su ciò che resta di una civiltà ormai andata in frantumi. Visivamente mando in
frantumi proprio la prospettiva. Ne resta qualche pezzo, scampato al naufragio e but-
tato alla riva, sulla sabbia, come dopo una forte mareggiata. Loro stessi non si ren-
dono conto di cosa siano esattamente questi brandelli. Eppure sono gli attrezzi con
cui abbiamo conosciuto il mondo, lo abbiamo rappresentato, attraverso la volontà
degli artisti …
La scena antica non era, come la nostra, un’apertura attraverso la quale veniva offerto al pub-
blico, in uno spazio ristretto, il risultato di un’infinita quantità di sforzi. Il dramma antico era
un atto e non uno spettacolo; questo atto impersonava in modo benefico l’insaziabile deside-
rio della massa; l’altro muro della scena non nascondeva nulla; non era un sipario, ma un li-
mite tracciato volontariamente fra l’atto e il desiderio. Qui come altrove, il senso della misura
ha reso ai greci un servizio meraviglioso. Questo senso noi non lo abbiamo e non possiamo
averlo; la nostra scena è dunque un’apertura sull’ignoto e sull’illimitato, e non è dando alla
tecnica della scenografia una forma esteriore e un ruolo nell’insieme della costruzione che
esprimeremo in qualche modo lo spazio immaginario in cui la nostra anima moderna ha bi-
sogno di immergersi.
DENIS
ADOLPHE APPIA, La musica e la messinscena, 1894
KRIEF
GIORGIO VASARI, Le vite dei più eccellenti pittori,
scultori e architetti, Vita di Paolo Uccello, 1568

LA
Prima di immaginarlo sotto una qualsiasi forma, mi sono domandato cosa rappresenta
in fondo il Gral. Intanto è una cosa che sta per un’altra. È un oggetto di origine celeste,
una pietra preziosa caduta dalla fronte dell’angelo prediletto da Dio? È una scodella co-
me rinvia l’etimo greco krater passato attraverso il latino cratis? Forse è impossibile ap-
purarlo. È la materializzazione di un’etimologia; una parola distorta, che acquista una
valenza imprevedibile e ci fa accedere ad un’insospettata verità, come accade in certi pas-
saggi della Recherche proustiana. O per dirla con un celebre critico è un mis-reading, un
fraintendimento dagli esiti forse felici, ma che deve per forza consumarsi nello stesso de-
serto in cui si trova il legislatore Mosè. Come Wagner, anche Schönberg nella sua ope-
ra incompiuta, al di là delle apparenze religiose, si interroga sul destino dell’artista nel-
la società moderna. Frainteso anche nel momento in cui viene acclamato e portato in
trionfo. Mi rifaccio al caso di coscienza che dibatte Friedrich Nietzsche in uno dei suoi
affilatissimi aforismi, scritto quando ormai la rottura con Wagner si era consumata da
un pezzo ed il filosofo ormai stava per perdere l’equilibrio e scivolare nella follia: «Sei
sincero? O solo un commediante? Uno che rappresenta qualcosa? O la cosa stessa rap-
presentata? In definitiva non sei altro che l’imitazione di un commediante».
Bastò che una delle fanciulle fiori per completare la propria immagine si mettesse sulla testa,
con gesto infantile, uno dei fiori variopinti che si trovavano là attorno, che subito ci convin-
cemmo – dimenticando ogni forma convenzionale del Balletto dell’Opera – che quello era il
modo giusto di rappresentare il personaggio.
RICHARD WAGNER, La rappresentazione di «Parsifal» a Bayreuth, 1882
Cosa implicherebbe, invece, il rispetto per «quel che è scritto»? Non significa inibire
qualsiasi libero atto interpretativo? Più che una presa d’atto dell’interpretazione registi-
ca, non sarebbe un bisogno impulsivo di controllarla accademicamente? Si avverte un
forte disagio, ispirato dall’inevitabile atto di interpretazione innescato da un regista nel-
l’atto di esercitare il suo mestiere. Perché allora nessun critico letterario ha mai sentito
il bisogno di ‘correggere’ il testo di Shakespeare nonostante gli Amleti di Craig e di
Brook siano assai diversi da quello che presumibilmente metteva in scena l’autore? Per-
ché invece, per il teatro musicale fa tanta paura quella che si definisce la «trasmissione
del testo», la sua interpretazione? Le motivazioni psicologiche richiederebbero un dis-
corso troppo lungo. «Se il teatro occidentale – ha scritto l’antropologo Claude Lévi-
Strauss – avesse voluto fissare i canoni della rappresentazione teatrale l’avrebbe fatto,
come l’hanno fatto certi teatri orientali, giapponesi, balinesi, che hanno fissato cinque e
seicento anni fa il gesto. Noi non li abbiamo mai fissati». Ne conseguono tante cose, an-
che il timore che un’interpretazione prenda il posto di quella a cui siamo da sempre abi-
tuati …
(Testo redatto con la collaborazione di Alessandro Taverna)
FERITA
DEL
TEATRO
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